Belle maniere Bocconi difficili, licenza di trasgredire
Dalla tavola al picnic lo stile è fatto di gesti semplici. Almeno in apparenza
Facile essere stilosi ad Ascot, col cestino del picnic attovagliato da un contemporaneo Jeeves, o durante un safari di lusso con il boy che prepara la tavola sotto il baobab. Ma come se la caverebbero questi signori, per dire, davanti a uno «spago» allo scoglio? La risposta ineccepibile è: sollevando le conchiglie con le mani e succhiandone il contenuto. L’unica alternativa a questo felice rito primitivo consiste nel farsi servire i frutti di mare già sgusciati. I buongustai inorridiscono, ma nel caso di un invito a casa con ospiti un po’ alla cieca (la nuova amica del nostro vecchio amico sarà abbastanza disinvolta?) è meglio scegliere l’opzione civilizzata.
Crostacei?
Per quelli piccoli, la faccenda può svolgersi staccando la testa e abbandonandola nel piatto anziché succhiarla religiosamente. Aragoste e astici completi dell’intero carapace sono exploit da ristorante (a casa la saggezza consiglia polpa di granchio senza patemi), dove devono arrivare al tavolo completi di 1) pinze per frantumare le chele e 2) forchettina a due punte per estrarne il contenuto. Un lavoraccio, spesso poco gratificante, anche perché, se i crostacei hanno viaggiato qualche giorno, la polpa si ritrae. Dopo, comunque, bisogna lavare le dita. Quattro le opzioni. 1) Elegante: una ciotola di acqua tiepida con fettine di limone (no ai petali di rosa, fanno Dubai), 2) Japanese-style: una salviettina bagnata e strizzata caldissima o freddissima, 3) Squallida: una bustina rinfrescante stile aereo, 4) Horror: il cilindretto di cotone assorbente che, innaffiato, si gonfia a dismisura. Purtroppo ricorda qualcosa.
Picnic?
Non degnate di uno sguardo i libri che mostrano cestini di vimini infiocchettati e disseminati di scomparti. Se ci sono di mezzo le posate, metà del bello se ne è già andato. Ma non per questo bisogna rinunciare al piacere dell’eleganza. La regola aurea è: tutto formato boccone. No alle insalate mollicce, no alle salse oleose, no alle creme. No alle ciotole colme di qualcosa da trasferire in piatti su piatti. Sì al pollo freddo già tagliato, alle polpette e ai cubi di frittata (non baveuse!) infilzati su uno stecco, a minicarote e ravanelli da sgranocchiare.
Panini?
Sì, ma non tutti. No a quelli pluristrato, ingestibili, no ai sandwich aperti da comporre al momento con sterminio di salse e ingredienti. Sì ai sandwich stile anglosassone dove eleganza e praticità coincidono: ovvero due morbide fette di pane a cassetta cui sia stata tolta la crosta intorno, farcite con ingredienti affettati molto sottilmente e/o tali che, schiacciando, il ripieno non fuoriesca. In pratica, oltre ai salumi, omelette alle erbe, lattuga e uova sode, formaggio e noci, roast-beef e senape. Ogni sandwich avvolto con eleganza quasi origami in carta oleata, secondo lo schema di piegatura che trovate qui sotto.