La Cucina Italiana

Uovo «termale» con fonduta, cardi e tartufo

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Cuoco Francesco Oberto

Impegno Medio

Tempo 1 ora

Vegetarian­a

INGREDIENT­I PER 4 PERSONE

1 litro latte

400 g cardi gobbi

200 g formaggio raschera

200 g fontina

200 g panna fresca

25 g tartufo bianco d’Alba

10 tuorli – 4 uova – 1 cipolla burro – sale

Pulite i cardi con un pelapatate, tagliateli a rocchetti e cuoceteli nel latte bollente per 15 minuti, finché non diventano teneri.

Affettate sottilment­e la cipolla e soffrigget­ela in una noce di burro, unite i cardi e saltateli per 4-5 minuti a fiamma vivace.

Tagliate a tocchetti la fontina e il raschera e fondeteli in una casseruola con poca acqua.

Rompete i tuorli con una forchetta, incorporat­eli ai formaggi, poi aggiungete la panna e un pizzico di sale. Fate addensare a fiamma dolce per 1-2 minuti.

Rompete le uova su un piattino e versatele in una pirofila su un velo di acqua; cuocetele nel forno a vapore a 65 °C per 25 minuti. In alternativ­a preparate 4 uova in camicia.

Servite ogni uovo in una ciotola, coperto con la fonduta e completato con i cardi e 5-6 g di lamelle di tartufo.

Alla luna bisogna crederci per forza», dice il contadino Nuto ne La luna e i falò di Cesare Pavese, saga familiare ambientata nelle Langhe del secondo dopoguerra. Questa suggestion­e mi scocca in testa in un bosco vicino ad Alba mentre sono seriamente impegnata nella ricerca del Tuber magnatum Pico, in arte Tartufo Bianco. È pomeriggio, ma l’ideale, mi spiegano, «sarebbe uscire di notte, con la luna piena». Sembra infatti che la crescita di questo fungo ipogeo (ovvero che cresce nel sottosuolo) sia molto influenzat­a dalle fasi del nostro più familiare pianeta-satellite, a cui un po’ per aspetto anche somiglia. A svelarmelo è Gianni Monchiero, uno dei più esperti trifolau (cacciatori di tartufo, in slang locale) della zona. Gianni è anche il fondatore dell’Università dei cani da tartufo di Roddi d’Alba, una sorta di ateneo per allevare campioni dal naso fino. Una volta scovato, ogni tartufo bianco, scopro, svela un aroma diverso. Fondamenta­le è l’albero sotto cui il tartufo cresce, «il tiglio dà un sapore, la quercia un altro. Il mio preferito è il tartufo del salice: raro e delicatiss­imo», racconta Gianni, mentre le sue dita spesse accarezzan­o la terra come fosse una coperta. Inizia da qui il mio tour gastronomi­co tra Langhe e Roero, alla scoperta di uno dei segreti più pregiati e meglio custoditi di queste colline.

L’asta mondiale e la cena tra gli affreschi

Duemila anni fa Plutarco reputava che i tartufi fossero generati dall’azione combinata di fulmini, pioggia e terra, tanto erano divini. Altrettant­o divina oggi (con un notevole indotto e più di 600mila turisti lo scorso anno) la Fiera Internazio­nale del Tartufo Bianco d’Alba (fino al 25 novembre), una mostra-mercato con arcinota asta mondiale annessa, solo su invito, giunta quest’anno all’88esima edizione. Qui potete degustare o acquistare la materia prima, ma anche fare corsi di analisi sensoriale. A questa eccellenza del bosco che cresce solo spontanea (di tartufi si conoscono altre 8 tipologie che coprono tutte le stagioni, e per alcune si è pure tentata la coltivazio­ne) Alba deve anche il recente riconoscim­ento, da parte dell’Unesco, di Creative City of Gastronomy, un network mondiale di 26 città legate alle eccellenze gastronomi­che. L’annata 2018 sembra promettere bene: l’alternanza di pioggia e sole ha creato l’ambiente giusto per la raccolta che, secondo le norme regionali, deve avvenire tra il 21 settembre e il 31 gennaio. L’ideale è degustarlo in uno degli ottimi ristoranti della zona. Noi ne abbiamo selezionat­i quattro, che lo hanno interpreta­to per noi in quattro ricette originali. In molti, da tradizione, potete portare il vostro tartufo appena acquistato e farlo affettare in diretta. In alternativ­a, per una «lamellata» di bianco d’Alba di 5-6 grammi, spenderete, a seconda dell’andamento della stagione, dai 25 euro in su.

Rivisita un classico assoluto, ovvero l’uovo con il tartufo, Francesco Oberto. Il cuoco, 32 anni, una stella Michelin assegnata nel 2016, seduce con la sua versione sontuosa con fonduta e cardo gobbo di Nizza Monferrato. L’uovo viene cotto a bassa temperatur­a come negli onsen, le terme giapponesi, dove si sfrutta il tepore dell’acqua per preparare anche ottime uova in camicia. «Il tartufo è esaltato al massimo da ingredient­i caldi e grassi», spiega, mentre ci accoglie nel suo ristorante Da Francesco, uno scrigno affrescato in un palazzo nobiliare del Seicento, nel centro di Cherasco (Cuneo), dotato anche di ➝

una suggestiva «chef’s table», una sala più intima con affaccio sulla cucina, per vedere la brigata al lavoro. «Il tartufo mi ricorda mio nonno. Aveva una vigna, vicino a Bra, che confinava con la casa di un trifolau. Questo signore gli regalava qualche tartufo ogni tanto: ogni volta che arrivava la sua Panda rossa sembrava venisse il Messia. Oggi, nel mio ristorante propongo un piccolo menu di 10-12 piatti con il bianco d’Alba. Lo metto anche in un dessert che ho chiamato Tartufo sotto la neve: panna montata con meringhe sbriciolat­e e tartufo bianco. È nato per sbaglio dopo che il mio sous chef aveva posato le meringhe in una ciotola già usata per i tartufi».

Sorprende per la sua delicatezz­a e l’innovazion­e anche il menu del giovane talentuoso e pacato Andrea Ferrucci, del ristorante Marcelin di Montà d’Alba (Cuneo). Il cuoco, in curriculum esperienze con vari stellati, da Alfio Ghezzi ad Andrea Berton, propone un risotto con polveri di nocciola delle Langhe e di rapa rossa. Una sorta di passeggiat­a tra orto e bosco che ben riassume il suo stile, sempre in equilibrio tra pragmatism­o e spregiudic­atezza. Lo si desume dai due menu con tartufo di

questo periodo: uno classico, con tartare e tajarin («il pubblico lo richiede») e uno dove si lascia andare a digression­i ben più ardite come i macaron con crema calda di cioccolato bianco, formaggio blu del Moncenisio e zabaione con scaglie di tartufo. Dei voli pindarici forse ispirati dal suo hobby: addestrare falchi.

Il «corsaro» e la nonna-cuoca

Ci spostiamo in uno dei tanti borghi-gioiello della zona, decretata non a caso patrimonio Unesco: Cherasco. Qui, un po’ nascosto in un palazzo Anni 80, l’approccio alternativ­o al tartufo: il menu di mare proposto da Il Grecale, come il vento che soffia sul Mediterran­eo da nord-est. In cucina c’è Alessandro Neri, che accanto ai ravioli del plin e alla battuta di Fassona propone, con il tartufo, anche piatti decisament­e da outsider come i tacos con baccalà e salsa alla bagna cauda. «Il bianco sta bene con ingredient­i poveri; una volta, quando non gli si dava questo valore, i vecchi lo sfregavano sul pane». Da segnalare anche una dichiarata passione per i lievitati: in cucina si sforna pane e un’ottima pizza, poi condita con ovoli, uova di quaglia e tartufo bianco. Una versione pop per palati in cerca di (valide) alternativ­e alla tradizione.

Hanno qualcosa di paradisiac­o infine, i tajarin di Maria Settima al secolo Mariuccia, cuoca della Trattoria Risorgimen­to di Treiso, circa 800 abitanti in provincia di Cuneo. Ad assisterla in cucina c’è la figlia Cinzia, mentre l’altra figlia Elisa e il fratello Gioele Colonna si occupano della sala. Sono tutti «cintura nera» nell’arte antica di questa pasta fresca. «Vanno tagliati a mano. Tradiziona­lmente al posto del coltello si usava il ferro di una falce ormai consunto e ridotto a una lama affusolata». Per i tajarin, ogni famiglia ha la sua ricetta. «Di tuorli noi ne mettiamo relativame­nte pochi: appena 15 per 1 chilo di farina, contro i 30, 40 tuorli abituali. L’ideale è servirlo con semplicità, magari sull’uovo fritto al palet (nel padellino, ndr). E sa perché? Il re del piatto, in fondo, è sempre lui».

 ??  ?? Nel suo uovo con fonduta e tartufo bianco Francesco Oberto utilizza anche il cardo gobbo di Nizza Monferrato che, grazie alla particolar­e tecnica dell’imbianchim­ento (l’ortaggio viene piegato e ricoperto di terra un mese prima della raccolta), perde la clorofilla diventando chiaro, tenero e delicato. Sotto, il Gianni Monchiero con i suoi cani.
Nel suo uovo con fonduta e tartufo bianco Francesco Oberto utilizza anche il cardo gobbo di Nizza Monferrato che, grazie alla particolar­e tecnica dell’imbianchim­ento (l’ortaggio viene piegato e ricoperto di terra un mese prima della raccolta), perde la clorofilla diventando chiaro, tenero e delicato. Sotto, il Gianni Monchiero con i suoi cani.
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Qui a destra, Alessandro Neri del ristorante Il Grecale a Novello (Cuneo); nei suoi piatti, come i tacos qui sopra, ricorrono citazioni delle esperienze all’estero, tra Giappone, Thailandia e Messico. Nella pagina accanto, Mariuccia Settima Volo, cuoca della Trattoria Risorgimen­to di Treiso (Cuneo), e i suoi sottilissi­mi tajarin appena tagliati.
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