La Cucina Italiana

Il mio pranzo memorabile

L’uovo di Eduardo. Andrée Ruth Shammah

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Eduardo, con la u e solo col nome perché non c’era bisogno del cognome per capire che si stava parlando di De Filippo, il più grande uomo di teatro che l’Italia abbia mai avuto. Qualche volta mi chiamava e mi diceva: «Andre», togliendo l’accento dalla e di Andrée, «vieni a colazione?». «Va bene», gli dicevo. Solo che io stavo a Milano e lui a Roma. Andavo all’aeroporto, salivo sul primo aereo e approdavo a casa sua in via dei Coronari.

Viveva in un appartamen­to su due piani con una scala a chiocciola. La cameriera eritrea lo chiamava e lui scendeva dall’alto con Pallina, una gatta che aveva salvato non so come, e che gli stava sempre accoccolat­a su una spalla.

Ci sedevamo a tavola e lui mi faceva l’uovo all’ostrica. Una preparazio­ne – non si può chiamarlo piatto – che adesso non capita più di incontrare e che non avevo mai mangiato prima, ma che da allora fa parte del mio mezzogiorn­o: un tuorlo crudo condito con limone e pepe, sorbito in un boccone direttamen­te dal mezzo guscio o da un cucchiaio.

Ma non era un cibo, era un racconto. Eduardo descriveva minuziosam­ente da dove veniva la gallina e il relativo uovo; diventava struggente tratteggia­ndo la storia del limone maturato sulle piante dell’Isola Isca, uno scoglio verde a poche centinaia di metri davanti a Punta Campanella, di fronte alla Penisola Sorrentina, che aveva acquistato negli anni Cinquanta con un’unica casa costruita sulla punta, come sulla prua di una nave. Ci andava a riposare, a scrivere, a coltivare erbe profumate e a piantare gli alberi di limone da crescere per la generazion­e successiva della sua famiglia. Per tutti quelli del posto era «l’Isola di Eduardo» e quando ci passavano davanti in barca facevano l’alzabandie­ra. Poi ha continuato ad andarci suo figlio Luca che non ha mai voluto venderla.

Eduardo rompeva perfettame­nte il guscio, travasava gli albumi dall’una all’altra metà finché il tuorlo restava giallo e splendente in una delle due. Allora, ci spremeva mezzo limone togliendo con cura i semi e completava il tutto con una macinata di pepe nero. Era rappresent­azione, soprattutt­o era emozione. Poi in tavola c’erano altre cose che cambiavano di volta in volta, ma nel mio ricordo c’è quell’uovo, l’incipit magico e memorabile che cancellava tutto il resto.

E dire che forse allora non mi rendevo conto di quanto lui fosse grande e di come la sua vita fosse, anche lei, un pezzo di teatro. L’ho capito dopo, quando ho imparato che in ogni sua commedia l’età del protagonis­ta coincideva con la sua nel momento in cui componeva la pièce.

Ero felice perché era lui e per l’onore che ti fa una persona che ti invita e si mette in cucina per te. Che fosse il ragù oppure o’ café o una delle ricette raccolte da sua moglie nel libro Si cucine cumme vogli’i’ (Guido Tommasi Editore), che costituisc­ono anche una parte essenziale delle sue commedie. Quando senti un sapore vivi il gesto di chi ti ha preparato quel sapore. È per questo che io continuo a prepararmi l’uovo all’ostrica.

 ??  ?? Andrée Ruth Shammah è direttrice del Teatro Franco Parenti di Milano. Regista teatrale e ideatrice di iniziative che hanno influito profondame­nte nella vita culturale italiana, con la Fondazione Pier Lombardo ha di recente riconsegna­to alla città di Milano uno spazio di benessere con i Bagni Misteriosi, nati dalla ristruttur­azione dell’ex piscina comunale Caimi.
Andrée Ruth Shammah è direttrice del Teatro Franco Parenti di Milano. Regista teatrale e ideatrice di iniziative che hanno influito profondame­nte nella vita culturale italiana, con la Fondazione Pier Lombardo ha di recente riconsegna­to alla città di Milano uno spazio di benessere con i Bagni Misteriosi, nati dalla ristruttur­azione dell’ex piscina comunale Caimi.
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