La Cucina Italiana

Al banchetto estense

Pasticcio di maccheroni, cappellacc­i, salama da sugo e anguilla marinata. Tutto è cominciato con i party di Cristoforo di Messisbugo, cuoco ultrastell­ato del Rinascimen­to

- di SARA MAGRO, foto MONICA VINELLA

Sono le 8 del mattino. Scosto la tenda della finestra: non c’è niente. Solo un’altra cortina lattiginos­a. Mi avevano giurato che la mia camera era la più panoramica dell’Annunziata, il delizioso hotel nella piazza del Castello Estense a Ferrara. Mi consolo con il caffè della moka e i muffin alla zucca all’invitante buffet della colazione. Alla terza tazzina, prendo coraggio ed esco, anche se la nebbia sembra più forte delle mura rinascimen­tali del castello.

Si gela nella piazza pedonale. Brrr... I ciclisti sfrecciano sfregandos­i le mani invece di tenerle sul manubrio: non hanno paura sul pavé? «No, no», spiega la guida, «a Ferrara si impara a pedalare prima di camminare». Quasi mi faccio investire da una bella signora sulla settantina: gonna al ginocchio, tacchi sottili, sigaretta a penzoloni tra le labbra e la bicicletta sollevata sotto il braccio per parcheggia­rla e fare la spesa. Dopo il caffè, s’intende.

La vita a Ferrara è vicina all’ideale: ritmi tranquilli, poche auto, lo struscio tra le vetrine di giorno e tra i baretti di via Adelardi la sera. Sarà solo apparenza, ma rende bene l’idea di «dimensione umana». Dentro le mura estensi c’è anche la campagna vera, con gli orti, le arnie, le pecore, le galline. A quel punto la strada è sterrata, fiancheggi­ata da campi, tra cascine trasformat­e in agriturism­o, come il Principess­a Pio, e ville signorili che ospitano raffinati b&b come Horti della Fasanara, sei camere in stile inglese e un parco immenso. La prossima volta prenoto qui!

Tornando verso il centro si sente un profumo buonissimo. Dal retrobotte­ga del panificio Perdonati esce un signore con i sacchetti pieni, li carica sulla bici e parte per le consegne a domicilio, come ogni mattina. Porta le famose «coppie ferraresi», i panini con quattro punte allungate, morbidi al centro e croccanti all’estremità. Nel laboratori­o vengono dei bicipiti così: mille pezzi al giorno, dalla XS alla XXL. «Questo pane è stato inventato nel 1536 per uno dei famosi banchetti-spettacolo degli Este, signori della Ferrara rinascimen­tale. La forma ricorda i boccoli di Lucrezia Borgia», dice il signor Perdonati. Vorrei comprare tutto: coppie, pizzette... I dolci invece si comprano da Orsatti, un’istituzion­e per ciambelle, tenerine al cioccolato (avete presenti i brownies? Ecco, uguali), torte di tagliatell­e, e il celebre pampapato. «Non pampepato», si raccomanda il proprietar­io Gianfranco Orsatti, «il nostro è con la “a”, perché le suore di clausura lo regalavano agli alti prelati e al Papa». Gli ingredient­i sono semplici: farina, cacao, zucchero, mandorle e canditi, tutto ricoperto di cioccolato fondente. Niente burro, uova e latte. «Ah, vegano!», concludo. «Se le piace, però quando è nato, nel Seicento, non si usava dire così. Piuttosto, sa che dura sei mesi senza conservant­i?».

Salama da sugo e odore di mare

La tradizione non si tocca. Nemmeno gli universita­ri vanno al fast food. Preferisco­no una zuppa da Zazie, o un bicchiere Al Brindisi, l’osteria più antica del mondo, aperta dal 1435. Tra bottiglie mai spolverate, si beve secondo gusto (non leggendo l’etichetta) e si mangia la Salama da sugo Igp, un insaccato con spezie e vino rosso che cuoce per 6-8 ore e si serve col purè di patate o la polenta. Sì sì, anche la polenta. Il Veneto è vicinissim­o, e l’influenza si sente nei piatti. Proprio come il mare. Anche se a Ferrara non c’è, la cucina di mare è «tipica». D’altra parte l’Adriatico dista 40 chilometri. Quindi ordinare i tagliolini alle vongole «pavarazze» di Goro, crema di aglio di Voghiera Dop, Parmigiano Reggiano Dop e friggitell­i da Makorè non è un peccato. Anzi. Il cuoco Marco Boni è legato al territorio, ne prende le cose buone, le lavora e le presenta con un linguaggio contempora­neo. D’altra parte, ha sempre bazzicato nella trattoria del padre Gastone, ad Argenta, dove – fatalità – c’era anche Il Trigabolo di Giacinto Rossetti, che negli anni Ottanta con Igles Corelli ai fuochi era il ristorante più innovativo d’Italia. Intanto arriva la sogliola alla mugnaia con il tè affumicato, e la zuppa inglese al bicchiere, davvero prelibata. Poi, dulcis in fundo, il «Ferrara Rocher», un cioccolati­no ricoperto con briciole del pane con le corna.

Mi chiedo come mai, con una ➝

tradizione gastronomi­ca così ricca, non ci sia nemmeno un ristorante stellato a Ferrara. C’era, una volta. Ma poi il Don Giovanni ha chiuso e il cuoco Pierluigi Di Diego, anche lui ex Trigabolo, ha appena aperto Manifattur­a Alimentare, una gastronomi­a da asporto con qualche tavolo per pranzare lì; tra i piatti forti terrina di canocchie, budino di zucca con chips croccanti e balsamico, cappellett­i al pecorino di fossa... Insomma, alta cucina, ma senza sovrastrut­ture.

La «stella» del Rinascimen­to

Approfitto della pausa tra un pasto e l’altro per visitare il Castello Estense e le immense cucine dove Cristoforo di Messisbugo dirigeva la preparazio­ne dei banchetti. «Era una specie di cuoco stellato del Rinascimen­to, e senz’altro il dipendente più pagato», racconta la guida di Visit Ferrara, il consorzio turistico locale. «Grazie al suo ricettario del 1549 Banchetti, composizio­ni di vivande e apparecchi­o generale, sappiamo come si mangiava a corte e che il 90% delle portate non veniva nemmeno toccato, tanta era l’abbondanza». Era puro sfarzo, una questione di marketing, e all’epoca spreco, riciclo, sostenibil­ità non erano temi in voga. Messisbugo scrisse anche 330 ricette, tra cui il pasticcio di maccheroni che qui si fa ancora tale e quale. La ricetta la recitano a memoria, tipo il San

Martino di Carducci: «Pasta frolla dolce ripiena di maccheroni con un ragù bianco, besciamell­a, funghi, noce moscata e tartufo del Bosco della Panfilia, l’unica area vocata in zona. Il tutto cotto al forno in una teglia di rame. Dolce e salato è un connubio della nostra cucina», spiega Elia Benvenuti del ristorante Ca’ d’Frara, specializz­ato in piatti tipici, fatti nel modo più vicino possibile alla cucina originale. «Anche la salama da sugo si serve con la crema fritta per smorzare il gusto forte, e negli gnocchi di zucca con cannella, burro, parmigiano si può aggiungere un po’ di zucchero».

Arzdore e dintorni

Un capitolo a sé sono i cappellacc­i alla zucca, altra Igp, patrimonio esclusivo delle «arzdore», pastaie dal mattarello inimitabil­e. Maria Cristina Borgazzi li fabbrica a tempo di record: tira, riempie, taglia e piega. Sembra facile: 100 grammi di farina 00 e un uovo a porzione, per il ripieno zucca violina, quella che cresce in zona, noce moscata e parmigiano. «La ricetta è di mia madre Noemi che ha fondato e dato il nome alla trattoria nel 1958». Intanto i cappellacc­i bollono, e in un attimo sono nel piatto coperti di ragù. Irresistib­ili, giuro. Da queste parti funziona così. Ogni ristorante che si rispetti ha la sua arzdora all’opera che continua a tirare pasta fresca per fare tagliatell­e, cappellett­i, lasagne. Al ristorante Il Sorpasso sta in una stanza con un tavolo da dodici al centro per stenderla. La sbircio all’opera: scarpe da ginnastica, pantaloni della tuta e auricolari, tutta assorta nel suo mondo di stelle filanti e coriandoli di farina. Saro Mantarro, cuoco e proprietar­io, ha occhi liquidi e la pancia sazia sotto il grembiule. Nel menu c’è quel che deve esserci, dalla salama ai dolci ferraresi, ma anche il baccalà mantecato, per la vicinanza con il Veneto, e le sarde ripiene per le sue origini siciliane. Le sedie invece sono dipinte con le storie dell’Orlando Furioso, un omaggio all’Ariosto, poeta (adottivo) di Ferrara.

In questo culto della tradizione c’è però anche qualcosa di «atipico». Tutti parlano di Apelle, un ristorante in stile nordico e minimalist­a, con la cuoca Martina Mosco che ha fatto uno stage al celeberrim­o Noma di Copenhagen, e un cocktail bar dove si trovano distillati rari e rum in serie limitate, sakè d’annata e drink belli da vedere come il Varanasi giallo di curcuma, e il Fika, che è solo un’allusione agli spuntini svedesi.

Alle origini dell’alta cucina

Per trovarle bisogna andare fuori città. Gli indirizzi sono due: La Capanna di Eraclio e La Zanzara. Per ragioni logistiche, opto per il secondo. In auto ci vuole più di un’ora, incluse le assurde indicazion­i di Google Maps che sul Delta del Po perde l’orientamen­to. Proseguo tra i campi di radicchio, carote e zucche, mi fermo a Codigoro per comprare qualche bottiglia di Fortana, un leggero rosso padano, alla cantina Corte Madonnina che produce le Doc (bio) del Bosco Eliceo, e visito l’abbazia di Pomposa, medievale visione tra i vigneti. La Zanzara è a cinque minuti, in un’ex stazione di pesca. Atmosfera felice con pochi tavoli

e un camino conviviale, il ristorante con una stella Michelin è gestito dai tre fratelli Bison: l’hipster Samuel in sala, Sauro e Sara in cucina. Pescano anguille e cefali nei bacini di fianco al casone e li cucinano in modo essenziale ed elegante, come fanno anche con le canocchie in umido e la gallinella di mare cruda con lime, rafano e aceto agli agrumi. Apparentem­ente sempliciss­ima anche la millefogli­e alla crema chantilly che racconta molto di questo locale: gli esordi di Sauro come pasticcier­e, l’ispirazion­e al dolce di Mauro Gualandi per Il Trigabolo, il ruolo fondamenta­le di quel ristorante per il futuro dell’alta cucina italiana e di molti cuochi, tra cui Bruno Barbieri. Basta sfogliare il libro Igles3 pubblicato da Reed Gourmet sul ristorante che prese la terza stella Michelin ad honorem, dopo aver chiuso nel 1993: le ricette e i piatti creati allora da Igles Corelli sembrano quelli delle grandi tavole di oggi.

Meditazion­i sul Delta del Po

Anche Comacchio con le sue tredici isolette collegate da ponticelli è sul Delta del Po, un paesaggio di valli salmastre di una bellezza antica e di un silenzio da meditazion­e. Praticamen­te,

Comacchio=anguilla. Tutto ruota attorno alla pesca e alla lavorazion­e di questo pesce riconosciu­to Presidio Slow Food, anche se ormai, dicono, è quasi estinto. In alcuni giorni è ancora attiva la Manifattur­a dei Marinati, dove si arrostisco­no sul fuoco a legna e si mettono sotto aceto anguille, alici e acquadelle, ma buona parte dell’affascinan­te stabilimen­to è ormai un museo. Al Cantinon, Ghibo (al secolo Pier Paolo Cavalieri) fa l’anguilla in carpaccio, in brodetto, alla griglia o fritta. Non può mancare, anche se il crudo di mare e la crema di cannellini con i gamberi sono la vera squisitezz­a, soprattutt­o quando fa più caldo e si può pranzare in veranda davanti alle scalinate metafisich­e dei Trepponti. Comacchio tutta è metafisica con le sue atmosfere lagunari, le casette colorate tra i canali, le valli di pesca a perdita d’occhio. È una delle zone umide più grandi d’Europa, con storie da raccontare e migliaia di uccelli da avvistare. Però ci vuole una guida esperta, come Riccardo Rescazzi che è anche il proprietar­io del Ponticello, il primo b&b aperto a Comacchio. Poche camere graziose e una colazione 100% bio: ciambelle, plum cake, yogurt, cereali. Nel frattempo la nebbia si è alzata lasciando un cielo invernale, ma azzurro azzurro. È la giornata ideale per esplorare questa meraviglia della natura, soprattutt­o ora che non c’è nessun turista all’orizzonte.

 ??  ?? I cappellacc­i di zucca al ragù della Trattoria da Noemi: ogni giorno ne fanno 90 porzioni, tutto a mano. A destra, il Castello Estense, iniziato nel 1385 da Niccolò II d’Este come difesa. Alla fine del Quattrocen­to fu trasformat­o in dimora di corte con l’aggiunta di torri, balconi in marmo e affreschi.
I cappellacc­i di zucca al ragù della Trattoria da Noemi: ogni giorno ne fanno 90 porzioni, tutto a mano. A destra, il Castello Estense, iniziato nel 1385 da Niccolò II d’Este come difesa. Alla fine del Quattrocen­to fu trasformat­o in dimora di corte con l’aggiunta di torri, balconi in marmo e affreschi.
 ??  ?? Da sinistra, in senso orario, Maria Cristina Borgazzi, proprietar­ia della Trattoria da Noemi, a Ferrara, ha ereditato dalla madre la ricetta dei cappellacc­i; un angolo della cucina, con un tributo a Gualtiero Marchesi. Marco, collaborat­ore del laboratori­o del gusto Zazie. Il pampapato, dolce per cui è famosa la pasticceri­a Orsatti.
Da sinistra, in senso orario, Maria Cristina Borgazzi, proprietar­ia della Trattoria da Noemi, a Ferrara, ha ereditato dalla madre la ricetta dei cappellacc­i; un angolo della cucina, con un tributo a Gualtiero Marchesi. Marco, collaborat­ore del laboratori­o del gusto Zazie. Il pampapato, dolce per cui è famosa la pasticceri­a Orsatti.
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 ??  ?? Da qui sopra, in senso orario, le valli di pesca intorno a Comacchio nel Parco del Delta del Po, Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Raccolta del radicchio nei fertili orti della zona. Fred Pellegrini gestisce l’enoteca Al Brindisi a Ferrara: tra i clienti dell’antica osteria c’era anche Ludovico Ariosto.
Da qui sopra, in senso orario, le valli di pesca intorno a Comacchio nel Parco del Delta del Po, Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Raccolta del radicchio nei fertili orti della zona. Fred Pellegrini gestisce l’enoteca Al Brindisi a Ferrara: tra i clienti dell’antica osteria c’era anche Ludovico Ariosto.
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 ??  ?? Dall’alto, a sinistra, Saro Mantarro de Il Sorpasso e la sua insalata di baccalà. Il cocktail Fika, affumicato al momento da Apelle, e a destra Jacopo, uno dei bartender del locale; in mano ha un Varanasi, altro drink classico. La coppia ferrarese, pane tipico della città e del forno Perdonati. Uno scorcio del centro storico di Ferrara.
Dall’alto, a sinistra, Saro Mantarro de Il Sorpasso e la sua insalata di baccalà. Il cocktail Fika, affumicato al momento da Apelle, e a destra Jacopo, uno dei bartender del locale; in mano ha un Varanasi, altro drink classico. La coppia ferrarese, pane tipico della città e del forno Perdonati. Uno scorcio del centro storico di Ferrara.
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