La Cucina Italiana

TUNISIA Dall’antipasto alla tisana, Maha Khedhiri ci accompagna tra i sapori e i profumi della sua terra. E non parliamo solo di cuscus

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di SARA MAGRO, foto JACOPO SALVI n giorno, la nostra collega Rita ha raccontato in redazione del pranzo condiviso con gli altri inquilini nel cortile del condominio. Ognuno aveva portato qualcosa. Tutto buono, ma i piatti della vicina tunisina erano i migliori. Così è nata l’idea di raccontare che cosa e come cucinano i nostri amici stranieri.

Maha Khedhiri si è trasferita a Milano nel 2009 con i due figli adolescent­i, Rim e Madi. Dichiara un grande amore per Milano, ma quando entri nella sua casa senti profumo di spezie, di acqua di rose, di Nord Africa. Cosa ci ha preparato oggi? «Per cominciare le Dita di Fatima, involtini fritti di pasta fillo. È un cibo dell’anima, che si mangia dopo il Ramadan. Ma io li preparo sempre, perché piacciono ai miei amici. Oggi li ho fatti al pollo, ma sono buoni anche vegetarian­i, con patate, prezzemolo, cipolla, uova e ricotta». Si sente un buon profumino... cos ’altro ha cucinato? «Polpettone, ripieno di uova sode. Viene cotto in acqua, avvolto nella carta stagnola o in foglie di lattuga». Qual è il pranzo più importante per i tunisini? «Quello della domenica. Le donne si alzano presto per fare il cuscus, che è estremamen­te laborioso. Fine, grosso, medio. E si condisce come si vuole: con carne, pollo, pesce. Quello integrale sta bene con le verdure». È un piatto unico? «Sì, come quasi tutti i nostri piatti. Di contorno, c’è sempre un’insalata à la tunisienne, con pomodori, peperoncin­i verdi, cetrioli, mela di Gerba (un po’ asprigna tipo la annurca), condita con menta, limone, olio, poco aceto, tante olive e capperi. Il trucco sta proprio nel condimento». Che cosa si mangia invece tutti i giorni? «Spesso minestre di verdure o di orzo. La tavola è sempre imbandita con tante cose da mangiare con il pane: olive, salsa piccante, tonno tunisino (che è buonissimo), salsa di pomodoro fresco, insalata di peperoncin­i verdi, olio extravergi­ne. Una specie di antipasto». E per cena? «Poco. Anche perché il pomeriggio si fa la merenda: dolci alle mandorle e caffè turco, con due gocce di acqua di rose. Ci sta benissimo. Noi la mettiamo ovunque, come l’acqua di fiori d’arancio». Dove? «Per esempio, nello assidat zgougou, una crema dolce bicolore: sotto, ai semi di pino d’Aleppo, e sopra pasticcier­a. Si guarnisce con frutta secca e palline argentate. Sulla decorazion­e si scatenano delle vere e proprie sfide. Nei giorni di festa, quando la famiglia si riunisce, ognuno sfoggia il suo zgougou decorato. Una gara a chi fa il più bello. Tra i bambini, ma anche tra i grandi che fanno guarnizion­i che sembrano mosaici». Possiamo definire la sua cucina tradiziona­le? «Sì, ma anche sperimenta­le. In Italia trovo buona parte degli ingredient­i che mi servono, ma a volte devo arrangiarm­i. Il risultato non sempre è identico, ma è buono». Quindi deve andare spesso a Tunisi per fare la spesa... «Ci vado almeno una volta all’anno. Ed è sempre un’occasione per fare scorte. Mia madre è un’esperta di erbe selvatiche e di conserve. Sul terrazzo mette a essiccare capperi, peperoncin­i, pomodori, aromi. E quando vado giù faccio incetta. Porto persino la verbena e lo zenzero per la mia tisana di tutte le sere. È un modo per avere a Milano un pezzetto della mia terra».

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