Cosa si mangia a Salina
Sale, sole e Malvasie
Supponiamo che non ci siate mai stati o che vogliate concedervi il lusso (nel senso di tempo, non di costi) di avvicinare nel modo più spettacolare e indimenticabile Salina, la più verde delle sette isole che compongono l’arcipelago delle Eolie. La più fertile, la più cordiale, ancora indenne da disturbanti mondanità. Allora, la sera, prendete la nave da Napoli, cenate a bordo, dormite felici mentre il vostro subconscio registra l’allontanamento dal «continente»; nell’alba trasparente salite in coperta per ammirare le rocce con una gala di spuma alla base mentre la nave attracca a Stromboli. Respirate lo zolfo del vulcano e prendete il caffè al breve stop nella frazione di Ginostra, a sud dell’isola. Mentre la prua punta verso l’ormai «vippatissima» ➝
Panarea per la successiva fermata, respirate quell’aria che tira su come lo Champagne, e alle nove scendete alla vostra destinazione, regno di sole, di vento e di mare scintillante. È con questo percorso di avvicinamento che Carlo Hauner, proprietario dell’azienda agricola fondata da suo padre, il miglior interprete dei vigneti di malvasia dell’isola, seduce gli amici che ancora non «sanno» e conquista i clienti che meritano il «trattamento magia». Per chi non è ricco di tempo, ci sono gli aliscafi, e la magia funziona comunque.
Completare il puzzle
Già prima di aver messo piede a terra vi sarete accorti che puntualità, appuntamenti, ritmi metropolitani diventano concetti fluidi. Qui sono il mare e il vento a decidere se si può attraccare o no, partire o no, dall’angusto porticciolo di Santa Marina Salina. Da lì si sale al paese, 800 abitanti, dove dall’alto si riescono a sistemare le tessere del puzzle che compone l’arcipelago. E allora: Salina, con la sua forma triangolare, vede Stromboli e Panarea a levante con gli isolotti disabitati di Dattilo, Lisca Bianca e Basiluzzo; a sud vede Lipari e Vulcano; a ovest, Alicudi e Filicudi. A sua volta Salina è visibile quasi a un tiro di schioppo da Capo d’Orlando, in Sicilia, da dove Giuseppe Tomasi di Lampedusa, in vacanza nella villa del cugino Lucio Piccolo, la contemplava così spesso da attribuire al protagonista del Gattopardo il titolo, fantasioso, di Principe di Salina. E come non essere d’accordo con lui?
«Ogni isola delle Eolie è il fossile di un animale. [...] Salina, con i suoi due vulcani, è l’antenato del cammello» da Il mare di pietra di Francesco Longo
«Il tempo era magnifico, l’aria tersa, il mare appena increspato. [...] Avevamo concluso la nostra esplorazione di tutto quel favoloso arcipelago che Stromboli illumina come un faro» da Viaggio nelle Eolie di Alexandre Dumas
Scendere a mare
Non siete sulle spiaggette di cipria rosa di qualche atollo del Pacifico; siete sulla trasformazione in gioielli color smeraldo di torrenti di lava eruttati millenni fa. Tutte le cale hanno un piglio eroico, tutte si raggiungono scendendo (e risalendo) un buon numero di gradini, tutte vivono di personalità propria. E, a seconda che guardino a est o a ovest, permettono di scegliere tra albe e tramonti strepitosi. La spiaggia dello Scario, con acque di uno speciale turchese, è fatta di ciottoloni che esigono materassini e scarpette (affittabili dal chiosco sul posto che garantisce anche cocacole e birrette gelate); quella di Rinella è di sabbia nera, con grotte un tempo ricovero per le imbarcazioni dei pescatori; la Cala di Pollara, dove Massimo Troisi ha girato il film Il postino, è incorniciata da rocce a strisce orizzontali come le pagine di un gigantesco quaderno. La più accessibile è quella vicina al porticciolo di Santa Marina, meta di bambini e tate volonterose.
Respirare il tramonto
Salina è causa di colpi di fulmine. Ha lo charme di Capri negli anni Cinquanta, quando, come ha detto qualcuno, «pochi tra quelli che ci avevano messo radici erano, “normali” nel senso borghese del termine». Perciò anche la scelta dell’albergo è una questione di temperamento. Chi vuole levitare in un luogo astratto sceglie il fascino zen di Capofaro, il resort costruito dai Tasca d’Almerita in mezzo alle loro vigne di malvasia, di fianco e dentro al faro del Capo stesso. Minimalismo di lusso, beninteso, con piscina Montecarlostyle, prima colazione che intreccia le Uova Benedict agli sfincioni, e, a cena, la mano siculo-sofisticata di Ludovico De Vivo: c’è il beccafico, ma è in salsa di agrumi ed è di triglie anziché di acciughe; c’è l’agnello delle Madonie, ma nappato al pistacchio anziché in tegame; c’è la pasta con le sarde, ma in ravioli liquidi con centrifugato di finocchietto. E, piacevole sorpresa, prezzi invitanti per chi voglia concedersi una cena con contorno di tramonto formidabile e il meglio delle Malvasie dei padroni di casa.
Smerigliare il palato
Chi ama sentirsi del posto, dormire in casette sparse tra orti minimi, leggere, ristorarsi in una serie di vasche che ricordano le terme romane, e soprattutto regalarsi emozione a tavola, magari senza neppure mettere il naso fuori, può scegliere come ritiro ideale il Signum. Segreto al punto che quando, benché nel centro del paese, credete di esservi perduti, siete arrivati. Lo gestisce quietamente da due generazioni la famiglia Caruso: padre cuoco (a riposo); mamma sindaco; Martina, 30 anni, premio cuoca Michelin-Veuve Clicquot 2019; Luca, direttore provvisto dello straordinario talento di far sentire gli ospiti a casa propria. Dei piatti si può dire che hanno la forza dei sapori dell’isola e l’umiltà di non tradirli con invenzioni complicate. Ma c’è una zampata giovane e ardita nei Gamberi rossi con fave, piselli e caffè, nello Spatola panato al barbecue con mandorla e «leche de Tigre», nello Sgombro confit con zuppa di olive, bufala, capperi canditi, nella Zuppa di latte, cioccolato, caffè e carruba. Salina era anche isola di mercanti con pretese, con case importanti, giardini interni, scaloni, ariosi balconi. Un piccolo hotel ne possiede cinque, tutti sulla strada principale, punto di osservazione della vita locale, da cui guardare il paesaggio e il passeggio. Sotto, ha da poco aperto Casa Lo Schiavo – Fornelli e Putia, cucina e bottega insieme, dove, tra l’altro, si mangiano paste condite con un «pesto segreto», di finocchietto e mandorle. Sfida eoliana a quello ligure.
Gustare l’isola
I prodotti dell’isola sono talmente straordinari che per mangiar bene basta non rovinarli. I pescatori, i contadini, le donne di Salina lo hanno sempre saputo quindi voi, prima di sperimentare varianti contemporanee, partite dai fondamentali. Primo tra tutti il pane cunzatu, il pane condito, saporito e primitivo, fatto di un pane rotondo o ovale, abbrustolito, tagliato a metà, condito con olio e insaporito con acciughe, pomodori, capperi e foglie di basilico. Il più autentico è quello preparato in piazza dalle donne del posto per la Sagra del Pane Cunzatu. L’irrinunciabile è quello di Alfredo, che nel suo ristorante a Lingua, sopra Santa Marina, ne ha creato nove varianti, di misura ciclopica (se ne può chiedere metà) che vanno dal Salina al Misto, all’Alfredo, ma tutte ruotano intorno a pomodori, capperi, olive, ricotta, primo sale, pecorino siciliano, acciughe, basilico. Dopo, ci sta benissimo una granita, altra specialità di Alfredo, ai gelsi neri, ai fichi, alle mandorle, al limone. E fatevi vedere buongustai NON accompagnandola alla brioche, specialità che va gustata solo a Messina. Per i piccoli appetiti c’è la fritturina da passeggio della pescheria A Lampara, acciughe freschissime e croccanti decorate con una fettina di limone.
Brindare alla vacanza
Lunghi tramonti, soste in barca sotto il tendalino, paste, pesci e carni esigono freschi calici di vino. I Salina Rosso e Bianco Igt, simpatici e beverini, svolgono bene questo compito, come spetta a un’isola che è stata il vigneto delle Eolie ben prima che la sua uva più importante, la malvasia, diventasse di moda. Poi quei vigneti, abbandonati per la coltivazione difficile, i rendimenti ridotti, la lunga lavorazione, sono stati ripresi in mano da coltivatori lungimiranti e un po’ visionari: Hauner, Tasca, Caravaglio e altri, oggi riuniti in consorzio. L’abbinamento classico per la Malvasia, naturale o passita, sono i dessert e i formaggi. Ma provatela, ben fredda, come aperitivo, per arrotondare il salso di capperi, olive, bruschette. Sta a metà tra uno Sherry e un Porto, ma è più inebriante.