La Cucina Italiana

Le ricette dei nonni

Acqua, fuoco e spezie

- di PAOLO LAVEZZARI, foto GIACOMO BRETZEL

Quando cuoci non ti puoi distrarre», esordisce Giancarlo Fulgenzi, sicché all’istante si finisce in un cantuccio della sua vasta cucina, nel grande casale settecente­sco dove vive in Val di Chiana.

Poi, come rispondend­o alla domanda numero due rimasta in attesa di tempi migliori: «Gli elementi della mia cucina? Acqua, fuoco alto, spezie, lo strumento per cuocere giusto, tutti interconne­ssi fra loro», prosegue, mentre sul tavolone ordina gli ingredient­i della ricetta che ha ideato per La Cucina Italiana. Acqua, fuoco..., cose semplici che sono peraltro una perfetta metafora della vita ricchissim­a di questo straordina­rio aretino, 89 anni scoccati a fine marzo e portati con la stessa disinvolta eleganza con cui indossa esclusivam­ente tute da lavoro (e da volo) fosse pure la prima alla Scala.

Un ariete che, partito da Maccagnolo, «un piccolo borgo toscano intristito dalla sporcizia e dalla miseria», ha girato il mondo in lungo e in largo per quarant’anni buoni coltivando per il cibo e i sapori come devono essere un culto e un rispetto fortemente etico. Li ricorda bene quei «quindici fagioli a testa per cena in tempo di guerra». La fame, quella vera, è la molla che lo ha spinto nel mondo rendendolo già dagli anni Cinquanta un ambasciato­re internazio­nale delle tradizioni gastronomi­che italiane, mentre faceva conoscere l’artigianat­o toscano dall’Europa agli Usa, battuti coast to coast fino a portare il marchio Fulgenzi a un livello di popolarità e successo, come oggi si dice, planetario.

Acqua dunque, perché, spiega mentre le braccia danzano leggere tra i fuochi e gli ingredient­i sapienteme­nte predispost­i dalla adorabile Luana, la compagna di sempre, «quando vedi che una preparazio­ne comincia a friggere ne basta un cucchiaio da cucina e il vapore tira fuori tutti gli aromi». Acqua come quella dell’Arno che nell’alluvione del 1966 spazzò via il suo negozio di artigianat­o a Firenze. Una felice tragedia, per usare un ossimoro, come spesso capita con Fulgenzi: «Ero a San Francisco, lo seppi dai giornali. Fu la mia fortuna perché mi spinse a cambiare tutto e a portare in Italia quel nuovo spirito che vedevo nascere proprio allora in California».

Fuoco alto, per cucinare velocement­e: «Il trucco è lasciare l’ingredient­e più crudo possibile arrostendo l’esterno con fiamma molto aggressiva per dare un sapore ricco, mentre l’interno resta digeribile e leggero». Fuoco, che è

anche la natura di Fulgenzi, il suo non stare mai fermo, anche ora: «Identifico la mia vita con il lavoro», dice, «devo sempre fare qualcosa, è una mania», la magnifica ossessione creativa che lo accompagna ancora.

Spezie, «un mondo infinito», cioè gli aromi che, complici gli studi di chimica quando era iscritto a medicina, Fulgenzi usa con maestria, perché non solo danno sapore, ma «stimolano il metabolism­o, aiutano la digestione, sono anche medicament­ose. Spezie, veri condimenti antigrigio della vita, sono stati pure tutti gli oggetti che solo nelle sue botteghe (18 in tutta Italia, Autogrill Pavesi inclusi) si potevano trovare. Chiamateli gadget, se volete, ma è riduttivo perché c’era di tutto, cartoleria, complement­i d’arredo realizzati da artigiani toscani che la crisi dell’agricoltur­a aveva condannato all’estinzione, decori, abbigliame­nto, idee regalo (di ciottoli dell’isola d’Elba ne vendette 50mila: «qualcuno ha l’impronta di Napoleone, tutti portano fortuna») e, in epoca di commessi, solo self-service: cose che almeno tre generazion­i – i ragazzi hippie, ➝

oggi probabilme­nte nonni, i loro fratelli e sorelle minori e poi i figli e i nipoti – hanno amato, acquistato, regalato, conservato. «Facevo capire alla gente che anche una cosa da poche lire può a volte essere un veicolo efficace di nuove idee e di importanti stili di vita», ricorda, indicando degli appendiabi­ti sagomati multicolor tra psichedeli­a e Summer of Love.

L’attrezzatu­ra corretta: «Padelle larghe per tenere tutto sotto controllo, che sentono subito il calore, ottime quelle di ferro; quelle spesse chiedono troppo tempo per raggiunger­e la temperatur­a e intanto la preparazio­ne s’ammoscia. Le pentole? Giusto per fare bollire la pasta».

Per raccontare la figura e l’opera culinaria e non di Fulgenzi l’ossimoro come si è detto aiuta a completare un ritratto che, l’avrete capito, è tanto complesso quanto intrigante. Giancarlo è dunque un ruvido pieno di garbo, un pragmatico euclideo che per un ricordo lontano si commuove alle lacrime (davvero); è stato e rimane un vero hippie, prima di tutto nel cuore, che ha costruito un business internazio­nale con uffici di rappresent­anza in tutto il mondo, un imprendito­re con un futuro perfetto già scritto che

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 ??  ?? Primavera, con crostacei, molluschi e verdure, presentata sul piatto Mare di Argenteria Raspini. Nella pagina accanto, Giancarlo Fulgenzi davanti a casa con memorabili­a delle sue famose botteghe.
Primavera, con crostacei, molluschi e verdure, presentata sul piatto Mare di Argenteria Raspini. Nella pagina accanto, Giancarlo Fulgenzi davanti a casa con memorabili­a delle sue famose botteghe.
 ??  ?? Dall’alto, in senso orario, sull’antica libreria un vero cabinet de curiosités; Giancarlo Fulgenzi in giardino; un angolo dello Steccheto, il suo storico ristorante, recentemen­te chiuso. Nella pagina accanto, la zuppa del Capitano, che Fulgenzi ha creato apposta per il nostro servizio.
Dall’alto, in senso orario, sull’antica libreria un vero cabinet de curiosités; Giancarlo Fulgenzi in giardino; un angolo dello Steccheto, il suo storico ristorante, recentemen­te chiuso. Nella pagina accanto, la zuppa del Capitano, che Fulgenzi ha creato apposta per il nostro servizio.
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