L’arte del ricevere
Quella di Chiara Rossetto è un mulino tra le spighe. Un paradiso con l’orto e il pollaio, dove si vive, si impasta e si sogna. Da otto generazioni
Nella casa dorata Chiara Rossetto
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Sono nata e cresciuta in un mulino, ho sempre saputo che quello sarebbe stato il mio destino. Così quel destino io l’ho plasmato come il pane: con un po’ di creatività». Chiara Rossetto è una manager anomala e multitasking. Impegnata col fratello Paolo nella gestione dell’azienda di famiglia, la Molino Rossetto, specializzata in farine e preparati «innovativi e funzionali» a base di farine (intorno ai 60 milioni di euro di fatturato, 30 milioni di pezzi venduti l’anno solo nei supermercati e ipermercati), trasmette subito una cosa: che vita e lavoro possono andare molto d’accordo e che la sua giornata non si esaurisce certo a una scrivania. Ci accoglie a La Molinella, a Pontelongo, nella campagna padovana, dove vive con la sua famiglia. Un’antica casa di campagna oltre che un hub creativo dove si tengono anche corsi di cucina. Chiara si è trasferita lì con i suoi genitori negli anni Ottanta. Intorno, un mare di grano, un grande giardino, l’orto e il pollaio e un lungo viale di platani voluto da papà Carlo (da poco scomparso) e a cui ora sarà dedicato. «Fu la prima cosa che fece: piantare alberi. Qui non c’era nulla, perché secondo i contadini fanno ombra e tolgono spazio alle coltivazioni». Il sole picchia, eppure la padrona di casa sembra non sentirlo. Energica e soave, gestisce con leggerezza un fitto traffico di telefonate. Nel mentre assegna i compiti ai tre figli Carlo Alberto, Maria Vittoria e Giulio. La madre, Maria Grazia, si affaccia per dare una mano e porge alcune preziose tovaglie. «Oggi si prepara la tavola delle feste», annuncia lei mentre porge a tutti le posate in argento con cui apparecchiare sotto il vecchio porticato in mattoni.
«Amo i classici: la tovaglia bianca di lino, per esempio, ricamata e ben stirata e i bicchieri per l’acqua in argento, con incisi i nomi di tutta la famiglia. Mi piace l’idea che ciascuno abbia qualcosa di suo». Non manca un tocco eccentrico, due servizi di porcellana diversi mescolati, come le sedie. Ovunque ortensie, disseminate qua e là. Noto che anche i tovaglioli sono ricamati. «Sì, con il nome della nostra casa: li ha realizzati una signora della zona, come si faceva una volta. A lei ho chiesto di preparare anche delle lenzuola ricamate con il nome di mia figlia Maria Vittoria». Per le posate, mi accorgo che Chiara ha una specie di fissa. Un affair di famiglia, dato che suo marito è Marco Greggio, celebre argentiere proprietario anche di Cesa 1882, marchio che riforniva Casa Savoia e, oggi, il Quirinale. «Quando
mi sono sposata non ho potuto neanche fare la lista nozze», ci confessa divertita. Inoltre, se viaggia per lavoro (e accade spesso), Chiara tiene nella borsa un cucchiaino d’argento. «Spesso sostituisco il pranzo con un cappuccino al bar: il cucchiaino mi ricorda casa, inoltre l’argento è un materiale dalla funzione antibatterica». Alla signora piace che le cose, anche più quotidiane, abbiano un significato. Proprio per questo la scelta cade sulle posate dal cosiddetto decoro San Marco. «Mi piaceva fare un omaggio alla Serenissima Repubblica di Venezia, date le nostre origini». I Rossetto sono mugnai dal 1760. «Oltre a mio padre, anche i miei zii lo erano: siamo all’ottava generazione. E oggi in azienda sono coinvolte le mie nipoti Claudia e Giorgia. Si occupano con mio fratello dell’azienda agricola». L’idea di sostenere l’ambiente è venuta a Chiara durante un viaggio in Ecuador con l’associazione non profit Oxfam Italia. ➝
«Lì le donne coltivavano orgogliosamente le proprie fincas, piccoli appezzamenti di terreno, senza prodotti chimici. Il pensiero alla base di quella fatica mi ha folgorato: fare del bene alla terra oltre che a se stessi. Ci ho creduto, ho anche discusso con mio padre Carlo per questo». Alla fine l’ha spuntata lei: la ritraiamo proprio immersa nelle sue spighe
biologiche. «Coltiviamo 100 ettari secondo questo metodo. Tra le novità anche il rilancio di qualità antiche come il grano siciliano Tumminia e il pugliese Senatore Cappelli, entrambi macinati a pietra».
Vulcanica e pratica, Chiara mi racconta come ha rivitalizzato con una novità lo scaffale delle farine nei supermercati, a suo dire «un po’ stanco»: «Le vendiamo in brik, i contenitori rigidi di solito usati per il latte. In questo caso sono in carta FSC riciclabile: pratici, permettono di conservare e consumare il contenuto fino agli ultimi grammi. Quelli che di solito si buttano. È un approccio sostenibile a un ingrediente che costa poco e che per questo spesso viene sprecato». Lei, gli ultimi 50 grammi del brik in questione li impiega per preparare la besciamella per le sue lasagnette con gamberi «comprati al mercato di Chioggia. Un omaggio al mare, così vicino che certi giorni se ne sente il profumo». Pochi grammi di farina finiscono anche nelle creme pasticciere, servite con le lingue di gatto, biscottini sottili come cialde. «Adoro i dolci. I miei amavano ricevere ogni sabato. Papà, cacciatore, era addetto agli spiedi di selvaggina, mamma alla pasta fresca, tirata a mano sottilissima. Io ai dessert. Mio padre mi prendeva in giro: “Siccome le torte arrivano per ultime”, mi diceva, “i complimenti alla fine sono tutti per te”».