Vita da cuoco
Norbert Niederkofler cucina quello che la montagna gli dà, e solo quello. Sfata il mito del chilometro zero e dell’orto dello chef e progetta una rivoluzione (culturale)
Scalata in stile alpino Norbert Niederkofler
La cucina è come la montagna, ci sono gli arrampicatori che vogliono conquistare tutto e subito, fama e denaro, e poi ci sono le scalate in stile alpino, quelle senza ossigeno, senza corde fisse, in solitaria e zaino in spalla. Salite lungo versanti inesplorati, impossibili fino a quando qualcuno non riesce ad arrivare in cima e inaugura una nuova via. Norbert Niederkofler la sua scalata l’ha fatta lontano dalle luci della ribalta, ci ha messo vent’anni per conquistare tre stelle Michelin e un posto nella classifica dei World’s 50 Best Restaurants, ma quello che allora sembrava solo l’azzardo di un pazzo si è rivelato invece l’impresa di un visionario.
Niente che arrivi dal mare, dalla pianura e dalla collina. Niente limoni, niente olio di oliva, ma bacche in estate, barbabietole in inverno. Nel 2011 al ristorante St. Hubertus, fra le Dolomiti dell’Alta Badia, hanno girato pagina, detto addio a tartufo, foie gras e ai piatti più amati dai clienti, e puntato tutto sui piccoli produttori dell’Alto Adige, dell’Austria o del Trentino, poco importa, e su ingredienti sconosciuti come pino mugo, salmerino e formaggio Graukäse. Otto anni dopo la lista di attesa è lunga mesi, la Tartare di coregone e gli Gnocchi di rapa rossa sono dei piatti firma «che valgono il viaggio». E arrivano da tutto il mondo per mangiarli.
La montagna in fatto di cibo è crudele: le estati sono brevi, gli inverni infiniti, e quando scende la prima neve non ti dà più nulla oltre a quello che hai conservato. Il ritmo della natura governa quello del lavoro, regala prodotti freschi da raccogliere, ma soprattutto impone il fare provviste da mettere da parte. La montagna lascia poco spazio all’improvvisazione, alla creatività estemporanea, a quell’idea romantica dell’artista genio e sregolatezza; ti obbliga a pensare, pianificare, aspettare e condividere, come uomo e come cuoco. Questa non è la solita «filosofia
dello chef», è un programma (così lo definisce Norbert) chiamato Cook the Mountain che valorizza la cultura montana e l’economia dei suoi abitanti, protegge il territorio, la biodiversità e uno stile di vita, senza trincerarsi dietro localismo e tradizioni, scadendo nel folklore. Cook the Mountain promuove valori che a livello globale uniscono le persone accomunate da una vita in alta quota: è un piano di azione per il futuro, che se funziona dove tutto è impervio, può funzionare ovunque (a qualunque altitudine) e ben oltre le mura di un ristorante. Norbert fa così di un tavolo apparecchiato un medium, cucina come atto politico e sprona tutti a percorrere questa nuova via sul ripido versante dell’alta cucina. Definisce il cibo un «catalizzatore di processi culturali» e vede i cuochi come «educatori emozionali» con un preciso dovere sociale: è un cuoco moderno e sa che stare dietro i fornelli non basta.