Valenza zootecnica delle prove su beccaccini
Tra le prove di caccia per cani da ferma l’Enci distingue tre formule di cacce “specialistiche” che rispettivamente sono: le prove su beccaccia, su beccaccino e su selvaggina tipica di montagna, individuando nelle peculiarità di ambiente e selvatico valido di volta in volta per qualificare il soggetto in esame, il fondamento e la ragione di questa suddivisione.
Le prove di caccia su beccaccino si caratterizzano nettamente, infatti, per la singolarità del selvatico (beccaccino, esclusi frullino ed il ben più raro croccolone), per la tipologia dei terreni (in Italia quasi unicamente, se non unicamente, in risaia) e per la stagionalità (sul suolo nazionale viene sfruttato il periodo tardo autunnale ed invernale); unico tipo di prova specialistica, inoltre, ad essere corsa invariabilmente a singolo, con quel che ne consegue, nel bene e nel male.
Ma quali gli obiettivi di selezione delle prove Specialistiche in generale? Innanzi tutto la verifica ed il controllo delle qualità di razza in soggetti impiegati in ambiti venatori “di nicchia”, a scongiurare lo sviluppo di derive morfo-funzionali che rappresentino, per i cultori di ciascuna razza, delle aberrazioni ad andar bene inutili, se non controproducenti, in particolare nel medio e lungo termine; in secondo luogo, la valutazione delle attitudini venatorie, più strettamente legate al rendimento, espresse in forme di caccia così peculiari.
Nel “distillato” zootecnico che sortisce da tali prove un fondamentale elemento va a saldare tra di loro caratteristiche di razza ed attitudine alla caccia, ed è rappresentato
dall’esperienza, cioè da quel “know how” che proprio nella specializzazione di selvatico ed ambiente rappresenta il fattore determinate nel far emergere i soggetti dotati del giusto talento.
Ebbene, tornando alle prove su beccaccini, quale contributo apportano alla selezione delle razze da ferma? Idealmente –e ove ben condotte e giudicate– devono mettere in risalto le doti di avventatore dell’esemplare qualificato, ovvero sia la capacità di usare il vento ed il naso come “ferri del mestiere” fondamentali per bloccare un selvatico che –proprio nelle stoppie del riso- si comporta nella maggior parte dei casi come “leggero” ovvero facile all’involo. Quindi, primo presupposto: olfatto ben sviluppato e capacità di sfruttare la brezza che spira spesso flebile sulle piane umide e nebbiose. Va da sé che s’impone, dal punto di vista più prettamente stilistico, portamento di testa ed assetto dell’asse cervicale e dorsale corretti perché funzionali per mettere il tartufo lì, a percepire l’emanazione che viene dal vento e a dare vita a filate dirette, cariche di tensione e talvolta di rara spettacolarità.
Altra dote caratteristica ed ineludibile del cane che emerge in prove su beccaccini è una spiccata attitudine a discriminare le emanazioni, selezionando con modalità rapida e quasi istintiva l’effluvio dello scolopacide tra le centinaia di odori ed emanazioni che ristagnano nell’ambiente della risaia o dei prati marcitori. Il cane esperto modula opportunamente fasi di accertamento prudente ma risoluto, sulle emanazioni sia dirette che “di pastura”, a rapida ma mai irruente esplorazione delle ampie stoppie a
ricercare selvatico più spesso sparso ed irregolarmente distribuito. Quasi scontata la solidità di ferma unita ad una particolare espressività, che aiuta conduttore e cacciatore a rendersi convinto della bontà della indicazione offerta dall’ausiliare: fattore questo desiderabile in ogni tipo di prova… onde risparmiare passi e colorite invettive verbali contro l’ausiliare. Sempre sulle caratteristiche della ferma, personalmente preferisco e trovo molto più pregevole il “punto” su beccaccino ben indicato, che s’invola a massimo 20-25 metri dalla punta del naso (compatibilmente con l’intensità della ventilazione), dando l’impressione di essere stato bloccato a terra dal cane con la ferma; vedo invece con molto scetticismo (perché poco utili nell’esercizio della pratica venatoria) quelle evanescenti indicazioni su emanazioni lontane e beccaccino che si palesa ben oltre la distanza di tiro del fucile e un po’ più a destra o a sinistra… cui prodest?
Autonomia di cerca ed iniziativa non disgiunti da collegamento: soggetti “beccaccinisti” esperti e consumati sono soliti incrociare con qualche ampio e profondo lacet le stoppie per nulla popolate per passare oltre ed esplorare con maggiore impegno e concentrazione quelle che con più probabilità e costanza albergano gli scolopacidi. Questi soggetti fanno risparmiare tempo e passi rendendo più interessante la scarpinata in risaia, senza trasformare la ricerca dei Beccaccini in una maratona all’inseguimento di forsennati galoppatori, ma nemmeno indugiando in plaghe sterili. Le prove “a solo”, quali sono quelle su beccaccini, non richiedono,
giocoforza, la prova dell’attitudine al consenso. Vero, incontrovertibile, e questo rappresenta forse un limite in queste prove dal punto di vista tecnico-selettivo, ma certamente rappresentano in modo fedele la modalità con cui viene praticata in larga parte la caccia al Beccaccino: un ausiliare, un cacciatore, tanto terreno da esplorare in autonomia. Ad altre prove ed altre note l’incarico di testare questa dote nei cani degni del titolo di Campionato di lavoro.
Il test funzionale del cane da ferma su beccaccini, proprio in virtù della specificità e particolarità del binomio selvatico–ambiente, costituisce un banco di prova severo e tecnicamente valido, ma solo laddove siano rispettati ed assolti i requisiti pretesi. Altrimenti, come di usa dire, se “vale tutto” anche il significato di queste prove viene svilito e svuotato del senso zootecnico, cui dobbiamo tener fede come veri cinofili.