La Gazzetta dello Sport - Bologna
«All’Euro mi divido tra Italia e Francia A Roma non posso andare allo stadio»
«Gli amici giallorossi non mi vogliono con loro: dicono che io porto sfortuna...» Quando muori resta a me, Jojo Rabbit Tre manifesti a Ebbing, Missouri, Fargo…».
Se vendi oltre due milioni di copie non può essere soltanto una moda. Vuol dire che hai tanto da raccontare e non soltanto a una generazione di giovanissimi. Zerocalcare, Michele Rech all’anagrafe, 40 anni, papà italiano, mamma francese, da bambino s’è trasferito a Roma, a Rebibbia, dove vive ancora. È il “mondo” che ha dato un’identità alla sua anima di eterno ragazzo che mangia merendine, parla con la sua coscienza che è l’armadillo, frequenta i centri sociali, è inguaribilmente malato di nostalgia ma, sotto questa immagine divertente e grottesca, nasconde un animo impegnato e sensibile. Con la vocazione di raccontare a fumetti la vita e anche le guerre, da testimone in prima persona, con romanzi “vissuti” in Siria e in Iraq. È uscito l’ultimo straordinario lavoro, ed è difficile dire se sia più divertente o commovente. Un viaggio con il padre con cui non ha vissuto l’infanzia, il tema dell’incomunicabilità, le memorie e, nelle pieghe dell’ironia, l’impegno.
▶Zerocalcare o Michele?
«Tutt’e due, l’identificazione è totale. Zero era il mio soprannome già prima».
▶Chapli▼ faceva riflettere con la risata…
«Neanche ci penso di accostarmi a nomi così. Sicuramente ispirazioni sono il regista Taika Waititi, il suo fa piangere e ridere, e Martin McDonagh con toccante e divertente. Siamo in zona
▶Siamo sulla Gazzetta e parlare di pallone. C’è una squadra del cuore, no?
te tocca
«Sì (la Roma, ndr), ma mi è stato detto che non devo parlarne mi bloccano durante le partite, anzi non devo andare in tournée dove gioca né pronunciare quel nome. Dicono che porto sfiga: che devo fare? Non sono mai riuscito a connettermi emotivamente, però il calcio mi interessa».
▶I▼ racconta di Italia 90 nell’estate in cui aveva sei anni.
Quando muori resta me
«Era la prima vacanza da solo, con papà. Tutte le sere c’erano le partite, non potevo sottrarmi al rito collettivo. Dopo l’ho seguito raramente».
▶No▼ tiferà per l’Italia di Spalletti all’Europeo?
«Sono sempre stato combattuto tra le mie due identità: mamma e nonna sono francesi, ho mantenuto la doppia nazionalità. Diciamo che tra i francesi mi sento italiano e tra gli italiani francese. Però, se qualcuno vuole vedere l’Italia, anch’io finisco sul divano. La finale la vedo. Ma non sto in fissa».
Zizou
Aveva un carisma speciale e mi piaceva che reagisse a un’offesa con una testata Italia 90
Ricordo da bambino il rito delle notti magiche, ma non sono in fissa con il calcio
Mi piaceva Zidane,
capocciata compresa Io a calcio? Una pippa Di Canio
Ammiro chi è un simbolo anche se non sono della Lazio e della sua parte politica
▶De Rossi? ▶E a Berlino 2006 tifava per...
«Ehm, ero contento della capocciata di Zidane, posso dirlo? Zizou aveva un carisma speciale, l’idea che reagisse con una testata a un’offesa mi piaceva».
▶Però in quell’Italia c’era Totti: non mi dica che da romanista…
«Totti è Totti, trascende il calcio, gli riconosco di essere un pilastro della romanità. Non mi importa che sia un gran giocatore, ma che sia riuscito a identificare squadra e città. Non ho pianto al suo addio, non riesco a sentire mio quel rito collettivo e mi dispiace».
▶Altri che la intrigano?
«Quelli, diciamo, letterari. Gascoigne, per esempio. Se fossi stato della sua squadra e della sua parte politica, magari Di Canio. Non sono nessuna delle due cose, ma ammiro le persone che sono riuscite a rimanere simbolo di qualcosa».
«Mi sta simpatico. Ma non mi fa l’effetto di Totti».
▶Nei romanzi non c’è mai il calcio, come se non facesse parte del suo immaginario.
«Ero una pippa totale. Mi mettevano in difesa accanto a uno bravo, per fare meno danni, Anche al game-boy e alla play: non ero uno dei bravi».
▶Mai stato allo stadio?
«Da bambino non ho memoria. Da grande sì, ma non mi vogliono, gliel’ho detto. Abitando a Roma, e avendo amici allo stadio, confesso che mi interessano le dinamiche del tifo: più che commentare la partita, commento la vita della curva, gli avvicendamenti, chi viene cacciato, chi ritorna».
▶Zero anche… nello sport?
«Ma no, vado a correre, faccio 5’16” sui dieci chilometri, scarico il cervello e penso alle trame delle storie. Da ragazzino passavo estati giocando a pelota basca con Secco contro il muro del cimitero del Verano, usando le mani invece delle pale».
▶La serie tv su Netflix ha ampliato la popolarità.
«Bellissima e complicata. Tutto quello che c’è è mio, non è stato censurato niente, ma non ha la spontaneità del fumetto dove vado di getto e scrivo i dialoghi sulla tavola. Qui ci sono mille passaggi».
▶La contraddizione tra le radici e il successo?
«Insuperabile, ma continuo ad accollarmi tutte le cause del mondo da cui vengo, anche le più impopolari come Cospito e Ilaria Salis. Se vado in giro per le librerie visito il centro sociale sotto sgombero. Dopo dodici anni, il mio percorso può essere criticabile, qualche compromesso è stato inevitabile, ma sono rimasto io e non uno che, dopo due anni, fa finta di non conoscere i vecchi amici».
▶ Autobiografie, giornalismo grafico, memorie romanzate. Cosa vorrebbe realizzare?
«Un romanzo sganciato dalla mia vita. Non sono capace di raccontare una storia di gangster americani o di fantascienza, non ho neanche avuto il tempo di provare con le scadenze pressanti che ho, e sono anche veloce. Ma un giorno ci voglio provare».
▶E uno sul calcio?
«Mi sembra difficile…».
«DE ROSSI È SIMPATICO TOTTI VA OLTRE IL CALCIO»