La Gazzetta dello Sport - Cagliari
A TUTTO CARLOS
«Ancelotti c.t. del Brasile? È un vincente, farebbe bene»
Dunga in Brasile ha giocato con Internacional, Corinthians, Santos e Vasco da Gama prima di approdare nell’87 in Italia nel Pisa con cui ha vinto la Mitropa Cup. L’anno dopo è passato alla Fiorentina per 4 stagioni. L’ultima squadra italiana è stata il Pescara, prima di emigrare in Giappone nel Jubilo Iwata (campionato vinto) e chiudere in patria nella sua prima squadra, l’Internacional. È in nazionale che Dunga ha avuto le migliori soddisfazioni: campione del Mondo nel 1994, due Coppe America e un argento olimpico. Anche da c.t. del Brasile (2006-2010, 2014-2016) ha vinto una Coppa America e una Confederations Cup.
▶ Quella di Neymar, una storia non all’altezza del suo talento?
«L’errore è pensare che un grande giocatore o un bravo allenatore da soli possano bastare. In Argentina ci hanno messo dieci anni per capire che Messi e la squadra devono giocare l’uno per l’altra».
▶Si diceva di Messi e si continua a dire di Neymar: non hanno la stoffa del leader.
«Impressionante. Passiamo la vita a discutere talenti come Messi e Neymar invece di cercare di capire come sfruttarli al meglio».
▶Tu un Mondiale, da capitano, l’hai vinto. Stati Uniti, 1994, in finale contro di noi, vendicando Zico, Falcao e compagni.
«La nostra stella nel ’94 era Romario, ma Romario capì che era importante giocare connesso alla squadra. È stato così con Pelè, con Garrincha, con lo stesso Ronaldo nel 2002».
▶Il tuo Brasile, il meno brasiliano della storia.
«Avevamo giocatori da tutto il mondo e ognuno di loro era un leader nella sua squadra. Non importa che fosse una squadra in lotta per lo scudetto o per non retrocedere. Bisogna ripartire da qui. Giocatori competitivi che non sopportano di perdere».
▶La mentalità...
«Il calcio è fatto di quattro parti: tecnica, fisica, tattica e mentale, la più importante. Me lo spiegò Bearzot una sera a cena: lui voleva l’uomo prima del calciatore. Uno disponibile a lasciare l’anima sul campo».
▶Tre immagini da quella finale di Pasadena.
«La prima, il rigore segnato. Una responsabilità stupenda. L’occasione di Bebeto mancata nel finale. La terza, Baggio e Baresi in ginocchio dopo aver sbagliato i rigori. Il calcio sa essere molto crudele. Baresi si era operato al menisco per giocare quella finale. Baggio aveva trascinato l’Italia con i suoi gol».
▶Arrigo Sacchi era l’allenatore di quell’Italia. Il grande innovatore di quegli anni?
«Ancora con i paroloni. Sacchi è stato un allenatore importante, ma chi si ricorda di Zagallo? Nel Mondiale del ’70 giocò con cinque numeri 10 là davanti. Impossibile solo pensarlo. Guardiola lo fece nel Barcellona e tutti a celebrarlo, ma Zagallo l’aveva già fatto nel ’70».
▶A cena con il nemico.
«Enzo Bearzot era un vero genio. Quella sera mi spiegò come aveva fatto a batterci: “Voi avevate un fenomeno, Zico. Noi avevamo una bestia, Gentile. L’ho messo a uomo su Zico per 45 minuti. Dovevo logorarlo fisicamente”. Quell’Italia aveva anche grande qualità. Scirea era un mostro. Bruno Conti, fantastico. Bearzot ci ha prima disarmato con la forza, poi ci ha ammazzato con il talento».
▶Hai smesso di allenare dopo il tuo secondo incarico con la Seleçao.
«C’erano i miei figli da crescere, mi avevano seguito in Italia, Germania e Giappone. Dovevano costruirsi a casa la loro vita. Sarebbe dovuta arrivare una proposta cui era impossibile dire no. Non è arrivata».
▶Ti prende la Fiorentina nell’affare Socrates e ti manda al Pisa da Anconetani.
«Arrivo a casa e trovo il presidente che mette il cibo nel freezer per la mia famiglia in arrivo. Mai più successa una cosa simile. Mi sono detto: per quest’uomo darò la vita in campo».
▶Per◻onaggio unico e molto discusso.
«Diceva di essere democratico: “Sento tutti, ma poi decido io”. Era successo un casino con un calciatore che aveva lasciato la città senza il suo permesso. Mi chiama e mi chiede una mia opinione. “Lei va a cambiare la sua?”, gli chiedo. “No”. “Allora, non c’ho niente da dire”».