La Gazzetta dello Sport - Cagliari

«IL MIO MAROCCO FIGLIO DELLE MAMME AMRABAT CHE CUORE DIAZ? PORTE APERTE»

Il c.t. terzo al Mondiale: «Volevo imitare il Barça di Pep, poi sono diventato come il Cholo. Ma il migliore è Ancelotti»

- di Filippo Maria Ricci

La mamma come simbolo di unità nazionale. Il Marocco ha fatto la storia del calcio africano portando il continente alla prima semifinale di un Mondiale, e con l’autore del miracolo, il c.t. Walid Regragui, il tema delle madri è il fulcro dell’intervista. Poi vengono l’emigrazion­e e l’integrazio­ne, il bi-nazionalis­mo, le radici e infine il calcio, espression­e di tutto il resto.

▶Partiamo dalle mamme?

«Sì, mi sembra un giusto tributo. Le racconto: al Mondiale del 2018 i giocatori si erano portati in Russia i propri agenti o le proprie compagne del momento, con le loro borse di Vuitton, gli occhiali firmati, i selfie con i bacini e i bacetti, i cuoricini e via dicendo. Io ho detto: potete portare solo famigliari, moglie e figli, fratelli, sorelle, genitori. Sono venute un sacco di mamme, e hanno cambiato l’atmosfera. Perché le mamme vogliono il bene dei figli, li tranquilli­zzano, li fanno parlare della famiglia e non di calcio, o dei compagni o dell’allenatore che li fa giocare o no. E poi c’è un altro aspetto: in questa nazionale piena di gente nata e cresciuta in Francia, in Olanda, in Belgio, in Italia, in Spagna, in Germania, in Canada, le mamme sono il traitd’union che collega questi ragazzi al Marocco, alle loro radici, al mondo arabo. La madre nella società marocchina ha un ruolo fondamenta­le, si occupa dell’educazione dei figli e tiene insieme la famiglia. Anche in Europa il venerdì la famiglia si riunisce per mangiare il cous cous preparato dalla mamma. Per me l’immagine del nostro Mondiale è Boufal che balla in campo con sua madre. Dobbiamo tanto a queste madri, che prima non si conoscevan­o e oggi sono riunite in un gruppo di whatsapp».

▶Come si vive da bi-nazionali?

«Dipende. Io sono stato tra i primi e ho vissuto certe perplessit­à sulla mia pelle: se si vince sei marocchino, se si perde sei francese. Io ai ragazzi ho chiesto solo decisione e determinaz­ione: fino ai 20 anni li lascio liberi di provare altre nazionali, poi però al momento del matrimonio la decisione dev’essere presa con

consapevol­ezza, perché è una scelta per la vita. Prendiamo il caso di Brahim Diaz. L’ho incontrato, ci siamo presi un caffè e abbiamo parlato bene e a lungo. Ha il papà marocchino e la mamma spagnola, quindi un’identità ancora più mista. È cresciuto in Spagna e nelle nazionali giovanili spagnole, ha debuttato con la Spagna. Al momento non è nemmeno diviso, si sente spagnolo. Ha tutto il mio rispetto. Gli ho solo detto che quando questa sua riflession­e sarà finita se vorrà venire da noi le porte per lui sono aperte, ma al momento non c’è discussion­e».

▶E il calcio? Lei si professava guardiolis­ta.

«Ehhh, ma al Mondiale mica tanto…». Walid ride.

▶Di fatto in Spagna la consideran­o come il killer del tiquitaka.

«Quando io ho iniziato, al Fus Rabat, volevo imitare l’Ajax di Cruijff e il Barça di Pep. Ho vinto dominando e dando spettacolo. Mi hanno venduto i giocatori e sono diventato il Cholo. Non avevo più gli uomini giusti per fare il calcio di possesso e dominio. Bisogna sapersi adattare. Negli ultimi anni c’è stata la tendenza a riconoscer­e come valido solo il modello del calcio spettacola­re, ma i giovani apprezzano anche il difensivis­mo di Simeone, l’importante è trasmetter­e emozioni. Io in certe partite del Manchester City mi esalto, in altre mi addormento. E poi bisogna vincere: anche Guardiola se non vince la Champions è criticato. Per questo penso che il modello migliore sia Carlo Ancelotti, del quale sono innamorato. Dicono che fa solo gestione? Ma è ciò che deve fare un allenatore! Carlo è il numero uno».

▶ Al Mondiale ha portato tre italiani, partiamo da Soufiane Amrabat.

«Un giocatore fortissimo e sono contento che grazie al Mondiale il suo valore sia stato riconosciu­to universalm­ente. Senza il Mondiale poteva rischiare di passare al lato della gloria. Grande cuore, atleticame­nte un mostro, sa fare tutto. Ci ha messo un po’, ma ha finalmente capito qual è il suo ruolo, quali sono le sue reali possibilit­à e capacità».

▶Walid Cheddira.

«Il suo è un profilo raro che apprezzo molto: non è cresciuto in un centro di formazione, è un tipo fresco, crudo, un po’ come Totò Schillaci a Italia 90. Viene da un calcio che amo, quello della strada. Ha vissuto una Coppa del Mondo partendo dalla Serie B, ha segnato, è stato importante. Deve continuare a lavorare, spero che il Bari sia promosso e che vada in Serie A per continuare a progredire. Ha qualità differenti, non è formattato come tanti giocatori del giorno d’oggi. E la cosa l’aiuta».

▶Abdelhamid Sabiri.

«Un giocatore di grande talento che non è ancora esploso, un po’ come Amrabat qualche tempo fa. Deve ancora lavorare a livello mentale, perché ha tutto: grosso, forte, tecnico, gran tiro. È ciò che gli ho detto in questi giorni: capisco le sue difficoltà alla Sampdoria ma deve crescere come è cresciuto Amrabat alla Fiorentina, perché può esplodere. Il rigore tecnico del campionato italiano gli fa bene: a me i giocatori che arrivano dalla Serie A piacciono molto perché portano un’identità tattica differente a quella degli altri campionati». Forse perché anche in Italia le mamme sono importanti.

Diaz si sente spagnolo ma con lui ho parlato e capisco che deve riflettere. Se vuole...

Cheddira è come Schillaci a Italia 90: è fresco, crudo, spero che con il Bari arrivi inA

Sabiri è un grande talento, non ancora esploso ma ha tutto: grosso, forte, tecnico

Sui giocatori “italiani”

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La festa di Walid Regragui in Qatar: il Marocco è arrivato terzo, miglior risultato di sempre di una nazionale africana al Mondiale
Record d’Africa La festa di Walid Regragui in Qatar: il Marocco è arrivato terzo, miglior risultato di sempre di una nazionale africana al Mondiale
 ?? ?? In Italia I marocchini che giocano da noi: Sofyan Amrabat, Walid Cheddira e Abdelhamid Sabiri
In Italia I marocchini che giocano da noi: Sofyan Amrabat, Walid Cheddira e Abdelhamid Sabiri

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