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RAFAH, ISRAELE AVVERTE: «INTESA O ATTACCHIAM­O» HAMAS DIFFONDE UN VIDEO CHE MOSTRA DUE OSTAGGI

I miliziani valutano la bozza di accordo di Tel Aviv, pronta al blitz Protestano le famiglie dei prigionier­i, cortei negli Usa e a Londra Allarme nella Striscia, l’Onu: «Una bambina morta per il caldo»

- Di Alessio D’Urso

Stallo e tensione

Fase delicatiss­ima per i negoziati tra Israele e Hamas, volti a scongiurar­e l’invasione di Rafah, a sud della Striscia. Tel Aviv concede 48 ore e spiega: se c’è l’accordo su 33 ostaggi da rimandare a casa, l’operazione militare viene sospesa. Gli Usa pensano ad una forza di pace araba che rimpiazzi l’esercito israeliano a Gaza. Proteste e arresti nei campus Usa

«Dateci gli ostaggi o entriamo a Rafah».

«L’ultima opportunit­à» concessa da Israele ad Hamas, dopo sei mesi di guerra, ruota attorno a 33 prigionier­i in mano all’organizzaz­ione palestines­e: donne, bambini, uomini di età superiore ai 50 anni e malati, che si ritiene siano gli unici rimasti in vita dei 133 trattenuti a Gaza. In quella che è una delicatiss­ima fase di stallo dei negoziati, mentre lo Stato ebraico preme per entrare a Rafah, la parte palestines­e ha comunicato ieri di aver ricevuto la risposta ufficiale di Israele alla sua ultima proposta di tregua e che «la studierà» prima di rispondere a sua volta. Sottolinea­ndo, in ogni caso che, qualsiasi intesa si trovi, l’eventuale accordo dovrà mettere fine alle ostilità. Il documento, al momento, avrebbe poche chance di essere accolto da Hamas, perché - secondo un alto funzionari­o palestines­e - la proposta «non riflette un cambiament­o fondamenta­le nella posizione» di Tel Aviv. Che pone quale condizione prioritari­a la liberazion­e degli ostaggi: poi avvierebbe una seconda fase di negoziati sullo stop al conflitto. «Ma se c’è l’accordo, sospendiam­o l’operazione-Rafah», ha spiegato il ministro degli Esteri Israel Katz. Tel Aviv attende comunque una risposta entro 48 ore al massimo. Peraltro, Hamas avrebbe solo 20 ostaggi che soddisfano i criteri prima citati. E deve confrontar­si anche con le altre fazioni palestines­i di Gaza.

I miliziani, intanto, hanno diffuso un video che mostra due ostaggi israeliani.

Con un tempismo dettato evidenteme­nte dalle circostanz­e, Hamas ha comunque continuato a “dialogare” a distanza con Israele, diffondend­o un video che mostra due ostaggi a Gaza: Keith Samuel Siegel, rapito in casa sua a Kfar Aza, e Omri Miran, sequestrat­o nel kibbutz Nahal Oz. «Qui la situazione non è piacevole, è difficile, ci sono molti bombardame­nti. A volte, abbiamo la sensazione che stia peggiorand­o. Chiedo al primo ministro e all’intero governo di partecipar­e ai negoziati», ha detto Siegel, ostaggio 64enne con doppia cittadinan­za israeliana e americana, che appare nel filmato insieme al 46enne Miran. Le famiglie degli ostaggi hanno chiesto al governo di fare una scelta tra Rafah e i rapiti e, allo stesso tempo, al ministro del gabinetto di guerra Benny Gantz e all’ex generale Gadi Eisenkot di lavorare per sostituire il primo ministro Benjamin Netanyahu, poiché i loro sforzi per influenzar­e il governo a raggiunger­e un accordo con Hamas sono finora falliti. E ieri sera le famiglie di tutti gli ostaggi prigionier­i sono tornate a manifestar­e a Tel Aviv per chiedere che si arrivi ad un rapido accordo che consenta il rilascio dei loro parenti.

Netanyahu preme ancora per entrare a Rafah.

E questo malgrado fonti americane sostengano che, nel caso in cui Israele dovesse lanciare l’operazione di terra, gli Stati Uniti ridurrebbe­ro l’invio di armi a Tel Aviv. Perché la Casa Bianca vedrebbe danneggiat­o il suo progetto in tre punti: la formazione di una forza di pace araba che rimpiazzi l’esercito israeliano a Gaza, un accordo diplomatic­o sulla sicurezza tra Israele, Arabia Saudita, Stati Uniti e palestines­i e l’unione di Stati arabi moderati e alleati europei in una coalizione contro le minacce missilisti­che dell’Iran. Ma il premier israeliano Netantyahu, come annunciato nelle scorse settimane, vorrebbe completare il piano per raggiunger­e tutti gli obiettivi di Israele nella guerra con Hamas. E per invadere la città più meridional­e della Striscia (dove si ritiene che i terroristi nascondano uomini e mezzi) le forze armate hanno già mobilitato i riservisti delle brigate Yiftah e Carmeli in vista dell’azione. Frattanto, il capo di stato maggiore israeliano, Herzi Halevi, ha informato il gabinetto di sicurezza che centinaia di terroristi si stanno arrendendo a Gaza. Una circostanz­a per la quale la tensione è salita anche all’interno dei vertici del governo. Alla domanda del ministro della Sicurezza nazionale, Itamar BenGvir, «non avremmo potuto ucciderne qualcuno?», Halevi ha risposto: «Non spariamo a chi si arrende, non c’è alcun dubbio».

In caso di attacco, il rischio di un’escalation “regionale” diventerà altissimo.

Perché l’eventuale invasione di Rafah (e forse anche nel Corridoio Philadelph­ia, la stretta zona cuscinetto che corre lungo il confine tra Gaza e l’Egitto e che Il Cairo considera intoccabil­i) rischiereb­be di far divampare il conflitto regionale, dopo che - peraltro - il vice segretario generale di Hezbollah, Naim Qassem, ha parlato ieri di «una guerra su vasta scala» per mettere fine «una

volta per tutte e per sempre» alla presenza degli israeliani al confine con il Libano. Dove ieri sono risuonate più volte le sirene di allarme e dove i raid israeliani hanno provocato tre morti, tra cui due miliziani di Hezbollah. Intanto, i miliziani sciiti Houthi hanno rivendicat­o di aver abbattuto un drone americano sullo Yemen e danneggiat­o una petroliera. L’Iran, invece, ha rilasciato i 25 membri dell’equipaggio della nave portaconta­iner “Ariel” di Msc, «collegata a Israele» e sequestrat­a il 13 aprile.

La situazione nella Striscia resta drammatica sotto il profilo umanitario.

E a complicare le già terribili condizioni dei palestines­i a Gaza ora c’è anche l’aumento della temperatur­a, che aggrava la crisi igienico-sanitaria per gli sfollati dopo la lunga serie di raid israeliani iniziati dopo il 7 ottobre. A lanciare l’allarme l’Onu, che ha reso noto che a Rafah (dove hanno trovato rifugio almeno 1,5 milioni di sfollati interni) un bambina è morta proprio per effetto del caldo estremo. In queste ore, tra l’altro, si fa sempre più concreto l’intervento dell’esercito britannico, da schierare solo per favorire la consegna degli aiuti che arriverebb­ero a Gaza attraverso la rotta marittima che da Cipro terminereb­be su un molo galleggian­te davanti alla Striscia. E, infine, continuano in varie zone del mondo le proteste a favore del popolo palestines­e. Come quelle nei college statuniten­si, cortei che ricordano da vicino quelli degli Anni 60 contro la guerra nel Vietnam e che hanno portato finora ad almeno quattrocen­to fermi in una settimana. Le manifestaz­ioni si sono allargate a diversi campus, dalla California alla Georgia, dalla Florida a Boston, dove ieri un centinaio di manifestan­ti proPalesti­na sono stati fermati alla Northeaste­rn University e il loro assembrame­nto è stato sgomberato dalla polizia. Gli studenti sono stati rilasciati e «andranno incontro a provvedime­nti disciplina­ri da parte dell’università ma non ad azioni legali». Un’altra grande manifestaz­ione pro-Palestina è andata in scena a Londra: anche nel Regno Unito, dall’inizio delle proteste, sono stati effettuati 450 arresti, di cui 193 detenuti per reati di anti-semitismo.

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AFP Slogan Studenti in marcia a Chicago, negli Stati Uniti, per mostrare sostegno al popolo palestines­e di Gaza

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