La Gazzetta dello Sport - Cagliari
Brevini: «La squadra unisce i bergamaschi Da umana a... Dea»
L’Atalanta non è solo un fenomeno sportivo. Lo è anche a livello sociologico. Bergamo ha circa 120 mila abitanti, la provincia supera abbondantemente il milione. Per tutti, la Dea è la Dea. Prova a spiegare questo fenomeno Franco Brevini, Professore dell’Università di Bergamo, storico della letteratura e saggista.
▶ Professor Brevini, come si spiega questa “fusione”?
«Innanzitutto il fatto che Bergamo abbia una sola squadra: significa unanimità, primato incontrastato. E i tifosi sono davvero trasversali. Si va dagli ultrà, i più visibili anche grazie alle splendide coreografie e ai cori incessanti, fino al pensionato di casa mia che sventola la bandiera dell’Atalanta sul balcone o il pilota dei C-130 che ha esfiltrato gli afghani dal loro Paese perché collaborazionisti degli americani. E in plancia aveva la bandiera dell’Atalanta».
▶L’Atalanta
è trasversale dunque?
«Non solo, è anche intergenerazionale e interclasse. Non ha soluzione di continuità anagraficamente e non guarda alle classi sociali. E’ Bergamo e tutto il territorio bergamasco».
▶ In questo sentimento affettivo vede anche un sentimento di rivalsa di questa terra?
«Sì perché fin dal Cinquecento questa è stata la terra degli stereotipi: Arlecchino, Gioppino, poi il muratore. In realtà questa terra è una delle locomotive del Paese. E’ un esempio dell’Italia che funziona. Durante il Covid lo slogan “mola mia”, non mollare, è diventato simbolico. Definisce l’anima bergamasca, la capacità di tenere duro, l’impegno in prima persona».
▶ In cosa la colpisce queste fede? «Le faccio un altro esempio. Nella mitologia greca, Atalanta era una comune mortale. Per i bergamaschi è la Dea. Siamo in un’epoca di crisi per certi riferimenti storici: gli oratori, i partiti, i sindacati. Avvicinarsi all’Atalanta è anche una fuga dalla solitudine sociale».
▶ Esiste qualcosa di simile all’Atalanta sul territorio?
«Gli Alpini. La gente si fida dell’Atalanta e degli Alpini».
A pensarci bene due mondi abbastanza distanti...
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«Sì, però due mondi che si fondono. In un territorio, quello bergamasco, che mette insieme il radicamento profondo, il legame con il passato, e il benessere attuale, fatto di modernità e di tecnologie che rendono Bergamo e la provincia un sistema che funziona».
Una metafora utilizzate giovedì sera dalla famiglia Percassi: lo stadio, bellissimo e nuovissimo, sotto alle Mura della città Alta, bellissima e storica...
«Sono entrambi simboli di appartenenza, sono simboli che rendono orgogliosi i bergamaschi».
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▶Dalla
notte di Valencia ai camion carichi di bare nel periodo del Covid fino alle due finali che attendono l’Atalanta. Il calcio ha funzionato anche da strumento di distrazione e di speranza in una terra duramente colpita...
«In città da tempo si possono trovare graffiti sui muri con la scritta in dialetto bergamasco che tradotta diventa “Rompi tutto”. Rende l’idea dell’insofferenza vissuta e il calcio, come lo sport, è stato consacrato a strada per ammorbidire quell’insofferenza».
▶ Crede che il capolavoro di Gasperini stia aiutando Bergamo a farsi conoscere di più?
«Direi che il percorso è iniziato anni fa anche fuori dal calcio. Quando è stata nominata capitale italiana della cultura insieme con Brescia nel 2023 ha iniziato a riprendersi ciò che spetta a questa città. I bergamaschi sono di natura schivi, lavoratori instancabili, orgogliosi. I successi dell’Atalanta supportano il posizionamento della città in tutti i settori. Sarebbe una nuova laurea pubblica».
2’35”
Il valore Popolo schivo, con Gasperini si riprende il posto meritato