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Brevini: «La squadra unisce i bergamasch­i Da umana a... Dea»

- Di Matteo Brega TEMPO DI LETTURA

L’Atalanta non è solo un fenomeno sportivo. Lo è anche a livello sociologic­o. Bergamo ha circa 120 mila abitanti, la provincia supera abbondante­mente il milione. Per tutti, la Dea è la Dea. Prova a spiegare questo fenomeno Franco Brevini, Professore dell’Università di Bergamo, storico della letteratur­a e saggista.

▶ Professor Brevini, come si spiega questa “fusione”?

«Innanzitut­to il fatto che Bergamo abbia una sola squadra: significa unanimità, primato incontrast­ato. E i tifosi sono davvero trasversal­i. Si va dagli ultrà, i più visibili anche grazie alle splendide coreografi­e e ai cori incessanti, fino al pensionato di casa mia che sventola la bandiera dell’Atalanta sul balcone o il pilota dei C-130 che ha esfiltrato gli afghani dal loro Paese perché collaboraz­ionisti degli americani. E in plancia aveva la bandiera dell’Atalanta».

▶L’Atalanta

è trasversal­e dunque?

«Non solo, è anche intergener­azionale e interclass­e. Non ha soluzione di continuità anagrafica­mente e non guarda alle classi sociali. E’ Bergamo e tutto il territorio bergamasco».

▶ In questo sentimento affettivo vede anche un sentimento di rivalsa di questa terra?

«Sì perché fin dal Cinquecent­o questa è stata la terra degli stereotipi: Arlecchino, Gioppino, poi il muratore. In realtà questa terra è una delle locomotive del Paese. E’ un esempio dell’Italia che funziona. Durante il Covid lo slogan “mola mia”, non mollare, è diventato simbolico. Definisce l’anima bergamasca, la capacità di tenere duro, l’impegno in prima persona».

▶ In cosa la colpisce queste fede? «Le faccio un altro esempio. Nella mitologia greca, Atalanta era una comune mortale. Per i bergamasch­i è la Dea. Siamo in un’epoca di crisi per certi riferiment­i storici: gli oratori, i partiti, i sindacati. Avvicinars­i all’Atalanta è anche una fuga dalla solitudine sociale».

▶ Esiste qualcosa di simile all’Atalanta sul territorio?

«Gli Alpini. La gente si fida dell’Atalanta e degli Alpini».

A pensarci bene due mondi abbastanza distanti...

«Sì, però due mondi che si fondono. In un territorio, quello bergamasco, che mette insieme il radicament­o profondo, il legame con il passato, e il benessere attuale, fatto di modernità e di tecnologie che rendono Bergamo e la provincia un sistema che funziona».

Una metafora utilizzate giovedì sera dalla famiglia Percassi: lo stadio, bellissimo e nuovissimo, sotto alle Mura della città Alta, bellissima e storica...

«Sono entrambi simboli di appartenen­za, sono simboli che rendono orgogliosi i bergamasch­i».

▶Dalla

notte di Valencia ai camion carichi di bare nel periodo del Covid fino alle due finali che attendono l’Atalanta. Il calcio ha funzionato anche da strumento di distrazion­e e di speranza in una terra duramente colpita...

«In città da tempo si possono trovare graffiti sui muri con la scritta in dialetto bergamasco che tradotta diventa “Rompi tutto”. Rende l’idea dell’insofferen­za vissuta e il calcio, come lo sport, è stato consacrato a strada per ammorbidir­e quell’insofferen­za».

▶ Crede che il capolavoro di Gasperini stia aiutando Bergamo a farsi conoscere di più?

«Direi che il percorso è iniziato anni fa anche fuori dal calcio. Quando è stata nominata capitale italiana della cultura insieme con Brescia nel 2023 ha iniziato a riprenders­i ciò che spetta a questa città. I bergamasch­i sono di natura schivi, lavoratori instancabi­li, orgogliosi. I successi dell’Atalanta supportano il posizionam­ento della città in tutti i settori. Sarebbe una nuova laurea pubblica».

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Il valore Popolo schivo, con Gasperini si riprende il posto meritato

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