La Gazzetta dello Sport - Romana
Dal barracuda al cefalo pesce povero ma buono
Gli chef creano piatti basati sulla pesca sostenibile: le acciughe di D’Amato, lo sgombro di Giubbani
a crisi dei mari sta cambiando anche gli chef. Sottotraccia gira nelle cucine di tanti ristoranti una tendenza favorevole al pesce povero, termine che peraltro non rende giustizia alla bontà gastronomica di tante specie. Cambiare le nostre abitudini alimentari metterebbe fine alla pratica distruttiva di gettare a mare il pescato che non ha mercato. Ci sono pesci - che consumiamo poco - presenti ancora in grandi quantità e che si riproducono rapidamente.
LTonnarella La Liguria è protagonista di questa nuova tendenza partendo da Genova e dal Marin dove lo chef Marco Visciola si affida alla Cooperativa Pescatori di Camogli «garanzia di qualità e di sostenibilità». Usano una tonnarella, l’ultima rimasta in Liguria, antica imbarcazione che sfrutta il principio della tonnara: i pesci vengono spinti in recinti subacquei e catturati. Un metodo che seleziona la taglia ed evita catture sotto misura. Sempre a Genova, da Hostaria Ducale si utilizza il gabilo, il merluzzo bianco che salato diventa baccalà. A Savona Materia Bistrot propone un insolito ceviche di barracuda mentre all’Elba Michele Nardi lo fa in porchetta.
Alici e acciughe Sono due nomi per lo stesso pesce: le seconde sono quelle più grosse, messe sotto sale. Le alici, ripiene di preboggion – un mix di erbe selvatiche liguri – diventano un piatto tipico da Margiagè, a Bordighera, mentre da Marco Polo, a Ventimiglia, lo chef Diego Pani si è ispirato a una ricetta ligure antica «il machetto, un pesto di acciughe essiccate al sole» per i suoi Spaghetti alle alici al mortaio e burro di Francia. Gianni D’Amato, già bistellato al Rigoletto di Reggiolo, nel nuovo ristorante di Tellaro, per spiegare il suo Ciuppin di acciughe, antica zuppa di pesce creata per recuperare pane raffermo e pesce di scarto, parte dai ricordi. «Le piccole barche scaricavano le cassette di legno piene di bellissimi pesci blu cobalto. Nell’aria si percepiva un buonissimo odore di mare, il profumo delle acciughe». Invece Michele De Blasio a Volta del Fuenti, Vietri a mare, nel Risotto Napoletano accosta le acciughe alle alghe e al bergamotto. Azzardo riuscito.
Sgombro A Moneglia (GE), Jorg Giubbani, fresco stellato di Orto, nella cappunadda al posto delle solite acciughe mette lo sgombro, «un pesce povero che era già nella mia cucina quando non si parlava di sostenibilità». Si tratta di un piatto classico del territorio, un’insalata di mare con pane raffermo e pesce di scarto. Nella ricetta calabrese di Giulio Ierace a Villa Paola, Tropea, lo sgombro è alla brace con cipolla al cartoccio e salsa arriganata (con aglio, origano e aceto). A Verona, Samir Xhaxhaj, giovane e talentuoso chef albanese della Canonica, accosta lo sgombro a frutto della passione, salsa teriyaki e cime di rapa.
Sardoncini e cefali Solo pesce tipico del territorio nel progetto AlMare di Antonio Scarantino a Fano. Durante tutto il mese di maggio lo chef ha tenuto in carta il pesce stagionale delle acque dell’Adriatico in un percorso di degustazione dall’antipasto al dolce. Ora nel menu si trova un piatto tipico, lo spaghettone scotadit con i sardoncini, specie autoctona dell’Adriatico. Nazario Biscotti, nel suo ristorante Le Antiche Sere a Lesina (FG), usa invece il cefalo di laguna che vive nei vicini fondali. «Lo compro da una cooperativa di pescatori, ha una carne tenera e gustosa, ottima con i funghi cardoncelli».
Scarto di paranza A Favignana Formica Osteria prende il nome da un isolotto delle Egadi, famoso per la sua tonnara. Il resident chef Kokichi Takahashi ha contaminato con la sua cultura orientale i piatti tipici del territorio. Serrania, coccio, sauro, merluzzetti, granchi pelosi e pesciolini di scarto di paranza sono alla base del suo brodetto di pesce, che accompagna gli spaghettoni rotti serviti con trito di mandorle e scorza di limone.
Acqua dolce Vicino ad Arezzo, lo chef Filippo Scapecchi, del ristorante Terramira di Capolona, acquista pesce povero di fiume dall’Antica Acquacoltura Molin di Bucchio, una cooperativa che ha recuperato uno dei più antichi impianti di allevamento ittico alle sorgenti dell’Arno, dedicato alla produzione di specie autoctone, come la trota fario del Casentino e l’anguilla. A Origgio (VA), al ristorante Olio lo chef Andrea Marinelli punta solo sulla pesca sostenibile, scegliendo pesci che hanno raggiunto la piena maturazione.
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