La Gazzetta dello Sport - Verona
L’ultimo ko dell’eroe fragile Fuori sei mesi «Ma tornerò»
NATO A
IL SLAM VINTI
iglio di un’insegnante di tennis, Judy Erskine, sua prima allenatrice e da sempre la sua consigliera più fidata, nel
F2004 vince gli Us Open juniores e due anni più tardi, a San José, il primo torneo da professionista. Nel 2007 è top 10, nel 2008 entra nella top 4 e insieme a Federer, Nadal e Djokovic dà vita alla cosiddetta generazione dei Fab Four. Vince 46 tornei: tre Slam, primo britannico dopo 76 anni (Us Open 2012, Wimbledon 2013 e 2016), due ori olimpici (2012 e 2016), un Masters (2016), la Davis (2015). Sposato con Kim Sears, ha quattro figli.
Tanto di capello Un Andy Murray capellone ai primi passi in carriera: da juniores è stato grande rivale di Novak Djokovic e Fabio Fognini
Il sogno di tutti gli eroi: esalare l’ultimo respiro sul campo di battaglia, dopo aver spremuto dal proprio corpo martoriato ogni stilla di pianto, sudore e sangue. Certamente, Sir Andy Murray non l’aveva immaginata così l’uscita di scena e si sarebbe meritato gli squilli di tromba tributatigli per la cavalcata finale dai posti del cuore, Wimbledon in primis, e magari con la testa dura di scozzese tignoso tenterà un ultimo ballo: ma quando ti rompi due legamenti di una caviglia a quasi 37 anni, è difficile pensare di poterti ripresentare con l’abito della festa. Andy, detto Muzza, si è spaccato domenica nel match di terzo turno contro il ceco Machac mentre conquistava il punto che lo portava sul 6-5 del terzo set: in pratica, ha lasciato l’anima sul campo, come un samurai del nostro tempo. Il piede sinistro che si pianta sul cemento, l’urlo di dolore, la testarda tenacia di voler finire il match per non dover sopportare l’onta di un ritiro, come si richiede all’orgoglio di un campione immenso. Ma due giorni dopo, conclusi gli esami clinici, la diagnosi è impietosa: rottura completa del legamento astragalo-peroneale anteriore e quella parziale del legamento calcaneoperoneale. A darne notizia è lui stesso sui suoi profili social: «Nel mio match a Miami ho riportato la rottura completa e parziale di due legamenti. Una volta tornato a casa mi vedrò con uno specialista per valutare quelli che saranno i prossimi passi. Non c’è neanche bisogno di dire quanto duro sia da accettare e che resterò fermo per un lungo periodo. Ma quando sarà il momento tornerò, anche con un’anca e senza alcun legamento alla caviglia».
Sopravvissuto Mai arrendersi, dunque, il cedimento non appartiene al dna di famiglia. Ma per uno strano scherzo del destino, Murray aveva appena annunciato che questa sarebbe l’ultima partecipazione a Miami, una dichiarazione che faceva seguito all’intenzione già manifestata di smettere dopo l’estate, non prima di aver raccolto gli ultimi applausi al Roland Garros, a Wimbledon, ovviamente il torneo più amato e vinto due volte, nel 2013 e nel 2016, e poi ai Giochi Olimpici, il palcoscenico del doppio trionfo in singolare, nel 2012 tra il tripudio dei londinesi e poi nel 2016 a Rio. La prognosi, per un infortunio del genere, va dai sei agli otto mesi: chissà se alla fine di quest’anno o all’inizio del prossimo non spunterà da qualche sottopassaggio per il congedo definitivo da celebrare in campo e non dopo un altro crac fisico. Non ci sarebbe da stupirsi, in fondo il Baronetto è sopravvissuto almeno due volte agli agguati della sorte. La prima nel 1996, quando alla scuola di Dunblane che frequenta, un folle che poi si rivelerà essere un suo istruttore al locale gruppo scout, apre il fuoco su un gruppo di ragazzi e ne uccide 16: lui si salva barricandosi nell’ufficio del
Il dramma preside, ma di questa storiaccia non parlerà mai più. La seconda nel 2017, quando gli dei del tennis gli presentano il conto per la favolosa eppur massacrante annata precedente, quando vince a Roma, a Wimbledon, a Bercy e alle Finals e recupera più di 9000 punti a Djokovic per chiudere la stagione al n.1 del mondo spezzando il monopolio dei Big Three: l’anca destra, da tempo dolorante, gli cede. Si opera una prima volta, rientra, ma nel 2019, dopo l’eliminazione al primo turno contro Bautista Agut, confida in lacrime che potrebbe essere stata la sua ultima partita se il secondo intervento chirurgico non andrà bene. E invece tornerà, anche se non potrà più ripetere i fasti dei tempi d’oro.
Doppia personalità L’avventura di Andy era partita da lontano, dalle sfide contro il muro con il fratello Jamie (che nel 2016 salirà al primo posto nel ranking di doppio, un’annata memorabile per la famiglia) sotto gli occhi di mamma Judy, prima allenatrice e da sempre la consigliera più ascoltata, e dalle scatole di Monopoli gettate per aria quando perdeva. Muzza in pratica si è fatto da solo, scegliendo di trasferirsi a Barcellona da adolescente unicamente con il sostegno di mamma. A un certo punto ha perfino smesso per provare con il calcio e certo non è mai stato lo stereotipo del ragazzino monomaniaco per la racchetta, anzi: in camera aveva i poster delle star del wrestling e dei calciatori Owen e Fowler, anche se non ha mai fatto il tifo per il Liverpool. Fin da ragazzino, il suo primo rivale è sempre stato Djokovic, da cui lo separano appena sette giorni: a Livorno se li ricordano ancora quei due adolescenti terribili che prima di un match di un torneo giovanile sparirono un paio d’ore per andare a giocare a pallone. Soprattutto, sono sempre esistiti due Murray: quello fuori dal campo, ironico, spiritoso, pronto alla battuta, senza vizi (l’unica volta che si è ubriacato, a Barcellona, è stato così male che da allora non tocca alcolici) e innamorato da sempre di Kim Sears, oggi sua moglie e seconda donna più importante della sua vita; e quello in campo, enormemente talentuoso ma tante volte irascibile e spesso in conflitto con se stesso. Certamente Andy è stato sempre fedele ai suoi principi senza aver paura di esprimere opinioni e compiere scelte così lontane dal conformismo imperante tra i colleghi e gli addetti ai lavori, dalle posizioni contro il doping alla decisione di ingaggiare una donna allenatrice, la Mauresmo, in un mondo maschilista come quello del tennis, fino all’ultima intemerata contro i soldi arabi. Tornerà, non tornerà: di certo il vuoto che lascia vale il numero uno.
LA CARRIERA
4’44” Andy Murray è stato il primo a interrompere, dopo 666 settimane, il dominio dei Big Three Federer, Nadal e Djokovic al n.1: conquistata la vetta il 7 novembre 2016, lo scozzese ci è rimasto per 41 settimane consecutive a 29 anni, il più anziano dai tempi di Newcombe (1974).
Nata a Roma il 15 novembre 2005, è alta 1.65 ed è tesserata per l’Olgiata Golf Club. Nel ranking mondiale dilettanti è al 41° posto (la miglior posizione raggiunta è la 33). Ha vinto il campionato italiano U12, l’English Girls U14, il British Girls U16, 2 volte il campionato italiano U18, 3 volte il campionato italiano match play, gli internazionali di Francia U21, gli internazionali del Portogallo, l’Annika Invitational Europe, gli Internazionali d’Italia. A squadre ha giocato la Junior Solheim Cup (2021-2023), il Patsky Hankins Trophy (2023) e la Junior Ryder Cup (2023): le ha vinte tutte. e pressione riguardo il mio futuro di golf. Ma posso contare su una famiglia che mi supporta e mi ricorda, ad esempio, gli imminenti esami di maturità».
3 Dopo aver firmato con Ucla in California, che cosa si aspetta dall’esperienza al college?
«In Italia non è facile coniugare impegni scolasti e agonistici. Le trasferte di questi anni hanno significato assenze e affannosi recuperi; i pomeriggi passati sul campo o in palestra mi hanno obbligato a faticose serate davanti ai libri. Negli Stati Uniti, al contrario, il sistema fornisce un supporto adeguato a tutti i livelli. Lì potrò proseguire la carriera sportiva ma anche iniziare un percorso universitario di alto livello. Dopo la laurea il sogno è quello di giocare da proette sul tour americano maggiore».
3 Lei ha dimostrato di essere un fenomeno nel matchplay e nelle competizioni a squadre.
«Il golf è uno sport individuale, le occasioni di partecipare a gare a squadre sono rare. Quando ho rappresentato l’Europa il team ha sempre vinto e io ho portato a casa la maggior parte dei miei match. Mi piace lo scontro diretto con l’avversaria, osservo il suo gioco e adatto la mia strategia, non mollo mai anche quando sono in netto svantaggio».
Famiglia Quest’anno devo fare la maturità, me lo ricordano sempre i miei genitori...
Gli hobby Quando trovo il tempo mi piace sciare e andare in bicicletta: mi libera la mente
3 Passioni fuori campo?
«Tante, quando trovo il tempo, soprattutto sciare e andare in bici, perché libero la mente e mi ricarico». 3’50”
Due giorni al Champions Retreat, ultimo giro al National