La Gazzetta dello Sport

Il primo si è dimesso dal governo per essere stato in un hotel a spese di imprendito­ri indagati. L’altro è accusato di Camorra e vittima dello scontro Lega-pdl

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Oggi è nuovamente in scena la questione morale per la combinazio­ne di due casi che possono essere accostati: quello del sottosegre­tario Carlo Malinconic­o e quello del deputato Nicola Cosentino, coordinato­re del Pdl in Campania. Cominciamo da Malinconic­o. È il più lineare. Carlo Malinconic­o è un bel signore di 60 anni, consiglier­e di Stato e ordinario di Diritto dell’unione Europea nell’università di Tor Vergata, poi presidente della Federazion­e Editori e infine, nel governo Monti, sottosegre­tario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria. Era sottosegre­tario anche al tempo di Prodi e proprio in quel periodo risulta che abbia passato un lungo week-end all’hotel Pellicano di Porto Santo Stefano, 5 mila euro per quattro notti che Malinconic­o non saldò. Chi saldò allora? L’imprendito­re Francesco Maria Piscicelli, quello che si mise a ridere di contentezz­a la notte del terremoto d’abruzzo e che qualche giorno fa è atterrato in elicottero sulla spiaggia di Ansedonia. Piscicelli e Diego Anemone sono indagati nell’ambito dell’inchiesta per gli appalti delg8alla Maddalena e ci sono un paio di telefonate in cui si sentono i due che si danno da fare per far avere a Malinconic­o la stanza migliore possibile del Pellicano, so- no così solleciti che a un certo punto l’albergator­e ride: «Ma che ti devi costruire un grattaciel­o? Te lo sei adottato?». E quell’altro gli risponde: «Fa parte dei giochi, che vuoi fare…». Ora, la telefonata è imbarazzan­te perché in ogni caso Malinconic­o ha effettivam­ente soggiornat­o in quel bel posto e se n’è andato senza pagare e senza chiedersi chi pagava. Ed era un funzionari­o pubblico, al servizio di Prodi. Detto questo, si deve specificar­e che non è indagato perché non risulta che abbia restituito in qualche modo il favore. Secondo le vecchie logiche, perciò (quelle dell’era Berlusconi), non avrebbe avuto alcun obbligo di dimettersi e avrebbe anzi dovuto protestare per la telefonata priva di rilevanza penale divenuta pubblica. Invece ieri Malinconic­o è andato da Monti e ha lasciato spontaneam­ente il posto di sottosegre­tario, dichiarand­o però (abbastanza incredibil­mente), di aver «appreso solo ora che Piscicelli avrebbe pagato di propria iniziativa e per ragioni a me ignote». Non è tanto diverso dal caso Scajola, che s’è trovato la casa al Colosseo pagata senza accorgersi di niente. Non faccia lo spiritoso e prenda solo nota di questo fatto da noi assai raro: il personaggi­o, per il solo fatto della telefona- ta, s’è dimesso. E Monti ha accettato le dimissioni. Cosentino, invece... La magistratu­ra ritiene che Cosentino, un bel signore anche lui, di 50 anni, sia il referente politico del clan dei Casalesi, e lo vuole arrestare. Cosentino ha in effetti parecchi parenti camorristi, ma questa non può essere considerat­a una colpa in partenza. Siccome è deputato, per metterlo dentro i giudici hanno bisogno dell’autorizzaz­ione della Camera, che non arrivava quando Berlusconi era al governo perché la Lega lo difendeva, ma adesso invece sta arrivando perché la Lega non sta più col Pdl, anzi vuol far dimenticar­e la lunga stagione con Berlusconi, e perciò ora vota per l’arresto, ieri nella Giunta per le autorizzaz­ioni a procedere dove il sì al carcere è passato grazie ai suoi due voti (è finita 11 a 10) e domani quasi sicurament­e in aula dove il sì al carcere manderà effettivam­ente in galera l’indagato. Tutto questo la Lega lo fa senza spiegare perché adesso è favorevole e prima era contraria. Non potrebbe essere che su Cosentino sono emerse adesso nuove fattispeci­e… Ma la Camera non deve giudicare su questo, deve giudicare solo sul cosiddetto fumus persecutio­nis, rispondere cioè alla domanda: i giudici stanno perseguita­ndo questo rappresent­ante del popolo o no? Quindi: come mai gli stessi giudici che prima per la Lega non perseguita­vano adesso invece perseguita­no? Come mai? È il marcio della politica, per dir così. Le decisioni si prendono sulla base di convenienz­e, che nulla hanno a che fare con l’interesse generale. Qui non c’è solo la volontà di tenere a distanza l’appestato Berlusconi, c’è anche la lotta interna tra Maroni e Bossi. Su Cosentino, Bossi sarebbe stato per il no, Maroni ha imposto la logica del sì. Uno dei due deputati leghisti, Paolini, ha ammesso candidamen­te che lui, in base alle sue convinzion­i, avrebbe votato no, ma siccome il giorno prima il partito, obbedendo a Maroni, aveva votato per il sì, lui si adattava al sì. Il Pdl è furioso e possiamo considerar­e sepolto il cosiddetto asse del Nord, Pdl-lega. Però, sull’insieme delle due vicende: il caso Malinconic­o, nonostante lo squallore, ci porta comunque un minimo di consolazio­ne perché c’è qualcuno che, anche ammesso che abbia sbagliato, ha il coraggio di togliersi di mezzo. Nell’altra vicenda siamo invece presi dal mal di cuore: è la solita politica.

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ANSA/EIDON Dall’alto, Carlo Malinconic­o e Nicola Cosentino: uno era sottosegre­tario di Monti; il secondo, del Pdl, è stato nel governo Berlusconi

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