Si sarebbe creato un «vuoto» normativo: impossibile, per la Consulta, ristabilire il sistema di voto precedente. Toccherà alle Camere trovare un’intesa sulle modifiche
I 15 giudici della Corte costituzionale hanno atteso il voto della Camera su Cosentino e dopo hanno reso nota la decisione relativa ai referendum elettorali: non sono ammissibili e non si faranno. Spieghi bene dall’inizio. Ma è semplice. Molti ritengono la nostra attuale legge elettorale— il cosiddetto Porcellum— una porcheria. L’anno scorso sono state raccolte le firme per abrogarla. Molti comitati elettorali, aiutati da due partiti: l’idv e il Pd. Alla fine si dichiarano raccolte 1,2 milioni di firme, e ieri tutte le dichiarazioni facevano riferimento a questo numero, anche se le firme valide sono risultate in realtà 530 mila. Lei sa che per indire un referendum bisogna che vi siano almeno mezzo milione di firme. In ogni caso: le proposte abrogative erano due. Con una si cancellava interamente il Porcellum; con l’altra si ritagliava il Porcellum lasciando in vita solo gli articoli 3, 9, 10, 11, che avrebbero rimesso in vigore la legge precedente (il cosiddetto Mattarelum). I referendum, dopo il controllo delle firme da parte della Cassazione, sono passati al vaglio della Corte costituzionale, che doveva decidere se fossero ammissibili. Dopo un giorno e mezzo di camera di consiglio, la Corte ha deciso che non sono ammissibili. Perché? Era una sentenza prevista e che il relatore Sabino Cassese ha bene illustrato nella prima giornata di lavori (mercoledì). Il referendum numero uno, quello che abrogava integralmente l’attuale legge elettorale, non era ammissibile perché, in caso di successo dei «sì», avrebbe lasciato il Paese senza una legge elettorale, creando un «vuoto legislativo». I referendari hanno sempre sostenuto che la vittoria dei «sì» avrebbe determinato, automaticamente, la resurrezione della legge precedente, ma di questo automatismo non c’è traccia nell’attuale