Spostati nove voti ma i segnali c’erano
Si era attribuito 40 voti certi, e 40 voti ha preso. Se ne era attribuiti 44, altrettanto certi, anzi certissimi, e ne ha presi 35. La differenza tra il neo presidente del Coni Giovanni Malagò e Lello Pagnozzi è tutta qui. Racchiusa in nove voti spariti. Ribaltone o svolta epocale che sia, ma col senno di poi non così sorprendente. I segnali erano stati diversi, ciascuno nel suo piccolo decisivo. Discorsi Uno spettatore piovuto da Marte dopo aver ascoltato i discorsi di Pagnozzi e di Malagò, non avrebbe avuto dubbi nell’indicare nel secondo il promesso vincitore. Troppo tecnicistico, il primo ha finito con l’essere schiacciato dall’altrui dialettica dei sentimenti. «Fiducia», «protagonismo» (collettivo) e «coraggio» sono le tre parole con cui Malagò s’è preso la scena. Tanto da meritare più applausi di quanti non ne abbia poi ricevuti da una platea guardinga e, evidentemente, ancora in maschera. L’aver parlato per secondo, come lui stesso ha ammesso, è stato un vantaggio. E lo ha saputo sfruttare. Lapsus Quello freudiano di Carraro, che nell’introdurre il voto ha chiamato i due contendenti «Petrucci e Malagò», assume ora un valore simbolico. L’ombra del suo predecessore, i 13 anni di regno in un crescendo di potere sempre più esibito, una sponsorizzazione esagerata, hanno finito col nuocere a Pagnozzi. Il 55-24 con cui Petrucci aveva sconfitto Chimenti nel 2009 era un segnale. Non averlo colto è stato un errore. Dubbio. Malagò da luglio ha lavorato a tappeto, porta a porta, capillarmente, coltivando non solo un programma ma tutto un modo di rapportarsi a quei 76 grandi elettori che via via prendevano corpo. Lo ha fatto con passione, dedizione, entusiasmo. E spregiudicatezza? Sì, di sicuro anche quella. Binaghi parla di «imboscata». Noi non abbiamo certezze: piccoli singoli tradimenti (a giochi fatti s’è materializzato il fenomeno deplorevole della processione di presidentini esultanti) o un grande inganno consumato da uno dei presunti fedelissimi di Pagnozzi, come lascia intendere anche Petrucci? Difficile a dirsi, anche se scorrendo i nomi degli eletti in Giunta il sospetto, Barelli non se ne abbia a male, sembra legittimo. Politica. Nume tutelare dello sport italiano un po’ troppo presto «dimesso» da Petrucci & Pagnozzi, Gianni Letta si è goduto l’elezione di Malagò seduto in prima fila. «L’avevo detto a Petrucci quattro anni fa che la prossima volta toccava a Malagò...» ha poi ricordato con civettuolo compiacimento. Lui da una parte, Josefa Idem a impegnarsi dall’altra, a Malagò è riuscita una saldatura politica Pdl-Pd che, pensando alle imminenti politiche e con buona pace della vecchia e cara autonomia dello sport, sembra uscita dritta dritta dalla vecchia serie tv di fantascienza «Ai confini con la realtà». Vincitori & vinti. Hanno vinto Pescante e Chimenti che si sono dati un gran daffare, ha perso Carraro che non si è sprecato molto. Hanno vinto Valentina Turisini e Alessandra Sensini, belle facce nuove di Giunta, ha perso Luca Pancalli, e sembrava non farsene una ragione. Ha perso Fiona May, che era della squadra Pagnozzi, ma siccome in Giunta è entrata lo stesso, eccola esultare nemmeno avesse stabilito chissà che record. Ha perso e poi vinto Giancarlo Abete, che il calcio lo porta in Giunta nonostante Malagò non ce lo volesse, e vedrete che prima o poi si intenderanno. Coni uno e due Questo è il problema. Da oggi Coni e Coni Servizi sono chiamati a convivere separati da una rampa di scale (e da molto altro) in cima alla quale se svolti a destra ci troverai Malagò, Fabbricini e Mornati, se svolti a sinistra Pagnozzi e, qualche volta, Petrucci. Convivenza che scade nel giugno 2014. Obbligata e molto difficile. Ma, forse, non impossibile.