La Gazzetta dello Sport

Il mito Jabbar «Ai centri dico non tirate da 3...»

«Kareem di allora? Anche adesso farebbe un sacco di punti. I migliori? Durant e Lebron, ma deve imparare la storia»

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE MASSIMO LOPES PEGNA NEW YORK

Sterling? Se non vuole rapporti con gli afro americani, pazienza... ma non può stare nella Nba Messico ‘68? Non fu un boicottagg­io Avevo pochi soldi e un buon lavoro, me lo sono tenuto

Per nulla scontroso come spesso lo hanno descritto.Il giocatore, che se fosse un generale avrebbe il petto ricoperto di medaglie, ha persino la battuta facile. E’ lui che attacca l’intervista: con una risposta, senza neppure attendere la domanda. «Se pensava di chiedermi del basket internazio­nale, le dico che è migliorato tantissimo. Ai miei tempi c’erano un paio di europei e Olajuwon. Le confesso: non avrei mai immaginato che nel resto del mondo potesse arrivare a fare concorrenz­a al calcio». Allora rimaniamo in tema: qual è lo straniero che le piace di più? Sorride. «Tim Duncan delle Isole Vergini... Non è molto appariscen­te, ma è un fenomeno.Poi metto Pau Gasol, Tony Parker e Manu Ginobili». Perché non ci sono più i centri dominanti? «Perché perdono tempo tirando da tre. Se stessero a un paio di metri dal canestro segnerebbe­ro con percentual­i altissime e farebbero vincere le loro squadre. Oltre a Pau, mi piace suo fratello Marc Gasol. E’ il giocatore che vorrei con me. Sa fare tutto: difendere, attaccare, passare la palla, mettere i liberi». E del nostro Andrea Bargnani che pensa? «Sta troppo sul perimetro. Potrebbe essere molto più efficace se giocasse in post. Ma forse non possiede quelle qualità, magari proprio perché non gliele hanno mai sviluppate». Che cosa farebbe Abdul Jabbar oggi? «Segnerebbe molto, perché non ci sono centri in grado di difendere e non sono così alti».

LeBron James non l’ha inclusa nei top 5 all-time. Offeso?

«Probabilme­nte non mi ha mai visto giocare. E non ha visto neppure Wilt (Chamberlai­n) e quelli che ho ammirato da bambino: Bill Russell, Oscar Robertson, Elgin Baylor, Jerry West e Earl Monroe. Appartiene a un’altra generazion­e, ma deve studiare di più». Ride.

Perché nessuno ha mai pensato a lei per una panchina Nba?

«Perché ho sempre cercato di mantenere la mia autonomia. E forse qualcuno ha ritenuto che fosse una forma di presunzion­e o che non fossi uno con cui si poteva andare d’accordo. Non è così. So che se avessi allenato avrei fatto un buon lavoro».

Quanti giocatori di oggi sanno che la Ncaa proibì le schiacciat­e per cercare di fermarla?

«Non credo molti. E’ un argomento di cui non si parla spesso. Non lo posso provare, ma ritengo che lo fecero proprio per limitare la mia efficienza».

E allora s’inventò il suo celebre gancio-cielo.

«In verità, quel colpo lo provai già in quinta elementare. Lo vidi fare a George Mikan e ci lavorai sopra». La sorprende che sia caduto in disuso? «No, perché ormai è diventato domi- nante il tiro in sospension­e. E poi molti allenatori non sanno insegnarlo. E’ un peccato perché è un colpo efficace. Ma finirà per scomparire».

Qual è la sua personale opinione su Donald Sterling e le sue deplorevol­i uscite razziste?

«Ha una visione, diciamo così, particolar­e della vita. E’ evidente: ha idee ostili nei confronti della comunità afro-americana. Ma non ci puoi fare molto. Se non vuole essere associato a persone di quella comunità, pazienza. Si va avanti ma per quelli come lui non ci può essere posto nel basket profession­istico».

Recentemen­te c’è stato il primo gay dichiarato nella Nba, ora ce ne sarà uno anche nella Nfl; gli Usa hanno eletto nel 2008 il primo presidente nero. Quale sarà il prossimo passo?

«Non è detto che ce ne sarà uno. Perché il progresso a volte può fare marcia indietro. Ci sono periodi di grande sviluppo e altri di stagnazion­e culturale. Oggi viviamo un momento di grandi conquiste, ma domani?». Contento dell’amministra­zione Obama? «Sì, è riuscito a fare tanto nonostante la massiccia opposizion­e da parte dei repubblica­ni».

Perché nel 1968 decise di non andare ai Giochi di Città del Messico?

«Avevo un buon lavoro e non me la passavo bene finanziari­amente e allora dovetti scegliere fra l’Olimpiade e il mio impiego. Solo una ragione pratica. Nessun boicottagg­io: ne discutemmo, ma poi non se ne fece nulla». Le piace guardare la Nba di oggi? «A volte. Seguo volentieri i San Antonio Spurs. E’ un tipo di basket vincente. Sono capaci di bilanciare perfettame­nte il gioco in area e dal perimetro. E credo che la gente apprezzi».

Qual è il giocatore per cui spenderebb­e sempre i soldi del biglietto?

«Chris Paul, Kevin Durant e LeBron James. Sono capaci di essere leader nelle loro squadre ogni stagione: rendono grande la Nba». LeBron o Durant? «Sono entrambi letali. Può essere solo una scelta personale basata sullo stile di gioco. La mia la tengo per me». Qualche rimpianto? Sorride. «Ho avuto una carriera straordina­ria. Ho vinto tutto e stabilito record. Forse ci sono un paio di titoli che potevamo conquistar­e e non lo abbiamo fatto. Ma non mi lamento».

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Abdul Jabbar, 67 anni
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