A Praga addio a Masopust Fece tremare Garrincha, vinse il Pallone d’oro 1962
1Segnò nella finale Mondiale ‘62 persa dalla Cecoslovacchia La carriera si fermò: il regime gli impedì di giocare all’estero
E’passato come una nuvola spinta dal vento, veloce, forse troppo veloce per poterne fissare l’immagine nella memoria. E ora che se n’è andato, per rivedere il suo volto di gentiluomo, prima che di campione, ci si deve tuffare negli archivi, cartacei o digitali che siano. Josef Masopust è stato un fuoriclasse, su questo non vi è alcun dubbio, ma la sua parabola è durata poco in confronto alle enormi qualità che possedeva: un terzo posto all’Europeo del 1960, un secondo posto dietro al Brasile nel Mondiale del 1962 e, nello stesso anno il Pallone d’Oro, primo europeo dell’est a conquistarlo. Avrebbe potuto segnare un’epoca, e se non ci è riuscito bisogna prendersela con il regime cecoslovacco, schiavo dei diktat di Mosca, che nel tempo della Guerra Fredda impediva ai campioni di trasferirsi all’estero: l’espatrio equivaleva al tradimento. Così Masopust ha continuato a incantare il suo pubblico ristretto, quello del Dukla Praga: otto scudetti e 3 coppe nazionali.
GOL IN FINALE A 81 anni, stanco e malato, ha chiuso per sempre la porta, dopo aver salutato tutti, e ha chiesto di essere lasciato in pace. Ma, a essere sinceri, aveva cominciato a morire qualche mese fa, quando un amico gli disse che dalla sua statua, che troneggia davanti allo stadio del Dukla a Praga, avevano rubato il pallone. Era come se gli avessero portato via una parte di esistenza, non riusciva a concepire, lui sempre così educato e signorile nei modi, che un manipolo di vandali potesse rovinare una storia gloriosa. Senza pallone, come avrebbe potuto vivere Masopust? Si era fatto un nome e una carriera, correndo avanti e indietro per il campo, aveva portato la Cecoslovacchia là dove non era mai stata: in finale al campionato del mondo. E quello resterà il momento più alto della sua avventura: stadio Nacional di Santiago del Cile, 17 giugno 1962, avversario il Brasile. Che, però, non aveva Pelè, infortunato. La vigilia fu tormentata perché nella semifinale tra il Brasile e il Cile, terminata 4-2 per la Seleçao, l’arbitro aveva espulso Garrincha che, da regolamento, avrebbe dovuto saltare la finale per squalifica. Intervenne la federcalcio brasiliana, e anche i militari fecero sentire la loro voce: non si doveva favorire la Cecoslovacchia, cioè la nazionale di un Paese che apparteneva al blocco comunista. La Fifa appoggiò l’iniziativa brasiliana e così Masopust, in finale, si trovò di fronte lo «squalificato» Garrincha. Non se ne preoccupò, perlomeno all’inizio, tanto che andò a segnare il vantaggio. Poi, però, quella Seleçao, con o senza Pelè, con o senza Garrincha, era talmente forte da annichilire chiunque: la Cecoslovacchia si piegò sotto i colpi di Amarildo, Zito e Vavà. Ma Masopust, ritirando la medaglia d’argento, pensò di aver realizzato il suo sogno di ragazzino: un gol in una finale mondiale.
TROFEO Centrocampista tuttofare, sapeva contrastare e rilanciare l’azione con rapidità. Oggi sareb- be una splendida mezzala. Pelè gli spedì una lettera il giorno del suo ottantesimo compleanno. Scrisse, tra l’altro, che «per le sue doti tecniche sembrava una mezzapunta nata in Brasile e non in Europa». Detto da O Rei... Nel 1962, quando gli consegnarono il Pallone d’Oro, lo mise in una sporta di plastica e se ne tornò a casa. Poi, qualche giorno più tardi, lo portò allo stadio del Dukla e condivise quella gioia assieme ai suoi tifosi. Era orgoglioso di quel trofeo, ma non lo dava a vedere. E quando gli dicevano che lui, Masopust, era ormai una gloria nazionale, scuoteva la testa e rispondeva: «Non scherziamo, ho soltanto giocato a pallone!».
RRimase sconvolto quando seppe che dalla sua statua avevano rubato il pallone
RGeniale in campo, umile nella vita «Io famoso? In fondo ho solo giocato a calcio»