MAROCCHINO, PECCI E IL CALCIO LIBERO

d’oggi dico: evviva la disciplina, ma ogni tanto fate come me, andate dove vi porta il cuore, o qualcos’altro (risatina)».

E Diego Armando? A Napoli, Pecci lo esplorò per una stagione. Gli bastò. «Rammento, di Maradona, la disponibilità. Era il migliore - e il migliore per distacco - eppure non lo faceva pesare. Mai. Una volta perdemmo e Renica, insultato pesantemente da un compagno, era distrutto. Diego, la mattina dopo, lo prese sotto braccio e lo rincuorò. Altra categoria. Non ho visto Di Stefano, ma per quello che ho letto, don Alfredo più Maradona più Pelè più Cruijff e poi il resto del mondo».

«A debita distanza», in quel resto e in quel contesto, Pecci include anche Andrea Pirlo e Xavi. «Quando cominciai, spiega, il mio modello era Luisito Suarez. Lanciava il pallone così dritto per dritto che potevi leggervi il nome del marchio». Pirlo, cioè «Metronomo» o «Mozart» in chiave Milan e Juventus, cinque scudetti di fila: ma anche «Venerabile maestro», nella versione più recente e barbuta (ma non barbosa). Xavi, el Profe: il professore, tra l’illusionista (Andrés Iniesta) e la Pulce (Lionel Messi). Ciao ciao Europa: Pirlo a New York, Xavi in Qatar. Sic transit assist mundi. Nasce mezzala d’attacco, Pirlo (ancora Pecci: «nasce Antognoni, nasce D’Amico») e piano piano arretra, fino a piazzarsi proprio lì, che non significa solo lì, grazie alle intuizioni di Carlo Mazzone a Brescia e Carletto Ancelotti al Milan. Xavi, viceversa, è regista fin da subito, e poiché il destino ha deciso di trasformare Barcellona in una nuova Betlemme, eccolo al centro di quel gioco che con Corrado Viciani fu semplicemente «corto» e con Pep Guardiola, viceversa, assurse al rango di tiki-taka.

«Appartengo alla sparuta tribù che, il giorno in cui il Milan lasciò andare Andrea, applaudì la dirigenza. Serviva una scossa», chiosa Pecci. E il migliore? Nessun dubbio: «Al calcio schema di Xavi preferisco il calcio libero di Pirlo».