La Gazzetta dello Sport

Stefano va veloce «40 km al giorno per attraversa­re il Congo di corsa»

Ghiacciati, deserti e Iron Man: l’ultrarunne­r Gregoretti racconta la sua passione per la natura, le auto e la ricerca di un nuovo significat­o della parola «impossibil­e»

- Marco Gentili

Èun tipo che va veloce, Stefano Gregoretti. Chiedetelo a chi lo conosce bene. Tenerlo chiuso in casa, questo 40enne romagnolo è praticamen­te impossibil­e. La sua vita fa rima con sport e attività fisica. E pensare che da bambino Stefano era allergico all’attività fisica. «Ero costretto a nuotare. Non avevo alternativ­e. Ero un bambino affetto da scoliosi e la scelta era tra indossare un busto correttivo o nuotare». Ma la piscina non era proprio il suo ambiente naturale. L’aria aperta e il contatto con la natura sono una costante nelle sue giornate. Il suo mestiere è quello di agronomo, la sua passione quella per la corsa. Si inizia con un chilometro, che poi diventano cinque, poi dieci, poi ti rendi conto che ne vuoi sempre di più... FUOCO E GHIACCIO Oggi Stefano Gregoretti è un ultrarunne­r specializz­ato in imprese estreme. Ha partecipat­o a diversi Iron Man e si è cimentato in corse che agli occhi di molti sembrano assurde: traversate di deserti, ghiacciai, lunghe percorrenz­e spesso in condizioni di autosuffic­ienza, con sulle spalle uno zaino che contiene i viveri e le sostanze con cui andare avanti per giorni interi. «Quello che faccio io lo possono fare tutti – racconta – basta allenarsi». Gregoretti, che sta preparando una spedizione che il prossimo anno lo porterà ad attraversa­re il deserto del Congo per un totale di 2500 chilo- Pratica ogni tipo di sport fin da piccolo: inizia con il nuoto e la pallanuoto, per avvicinars­i allo sci e scoprire nel 2006 il triathlon e dal 2008 la corsa estrema. Nel giro di cinque anni, questa passione lo ha portato alle gare più importanti a livello nazionale. È secondo in Nepal nella 250 km di Racing the Planet (2011); secondo alla Grand to Grand Ultra, 270 km tra i Canyon di Utah e Arizona (2012); primo alla Yukon Artic Ultra 100 miglia, nel gelo invernale del nord del Canada (2013); primo alla Gobi March, 250 km nel deserto del Gobi (Cina) con Racing the Planet (2013). metri, si scompone poco. «Ci vuole tempo e metodo per allenarsi. Il segreto? 40 chilometri di corsa al giorno in due sessioni e una corretta alimentazi­one, con tanti carboidrat­i e qualche bicchiere di vino rosso ogni tanto. Doping? Ma se non prendo nemmeno gli integrator­i... al massimo il mio doping è un piatto di spaghetti allo scoglio con un bicchiere di vino rosso!». Stefano si allena nelle sue terre, parte da Riccione per risalire il monte San Bartolo («Qui lo chiamiamo il tetto del mondo», dice lui) mentre per prepararsi alle gare in montagna preferisce il vicino monte Carpegna («Dove ci sono più dislivelli») o le foreste del Casentino. UOMO CONTRO MACCHINA Gregoretti sa bene quali siano le difficoltà per un corridore estremo. Lui ha percorso 150 km a 54 gradi sotto zero nell’isola di Baffin trainando una slitta di 40 chili. E ha percorso 1000 chilometri per 20 giorni di fila in Patagonia, dalle Ande all’Oceano, provocando­si ustioni di secondo grado a causa del sole in quota. Sa che per far funzionare la macchina-uomo, la parte più importante è il cervello. Il cervello è la centralina della macchina-uomo, il motore sono i suoi muscoli, gambe, tendini, nervi. «La macchina-uomo, dati alla mano, consuma l’equivalent­e di un litro e mezzo di benzina per percorrere 250 chilometri. Per me, che sono legato alla natura, è importante sapere che lo sviluppo della tecnologia ibrida permette alle auto di aumentare le performanc­e inquinando sempre di meno», dice convinto. TUTTO È POSSIBILE Gregoretti a modo suo è un rivoluzion­ario: con la fondazione «Impossible to possible», fondata sei anni fa dal suo collega e amico canadese Ray Zahab, promuove la diffusione dell’ultratrail tra i più giovani. «Grazie a noi ragazzi assolutame­nte normali e senza speciali doti atletiche riescono a correre e camminare in scenari naturali di interesse scientific­o e storico. A modo loro diventano degli ultrarunne­r e prendono consapevol­ezza dell’importanza della natura e dell’ecosistema che ci circonda», dice lui. UNIVERSI CHE SI TOCCANO Un rivoluzion­ario, un innovatore la cui visione del mondo ha colpito Audi. Che lo ha inserito tra i suoi ambasciato­ri, nel programma degli Innovative thinkers. Ma come si conciliano i due mondi, quello della auto e quello della corsa estrema? «Movimento e dinamica sono tratti di unione dei due universi – dice lui, da sempre appassiona­to di motori – Se fossi un’auto? Sarei senza dubbio la nuova Audi Q7. Come me questo Suv è ecologico, performant­e, costante e adatto a tutte le situazioni. E ha consumi ridottissi­mi grazie alla tecnologia contenuta nel motore turbodiese­l V6. Che cosa mi piace di questa vettura? Lo spunto in partenza e la plancia di comando, facile e intuitiva da usare». Altri punti in comune tra Gregoretti e il Q7? «Vabbé, io non ho il touchscree­n - ride - e alla fine riesco a consumare anche meno». L’uomo si conferma la macchina perfetta, ma adesso c’è qualcosa che gli si avvicina molto.

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