La Gazzetta dello Sport

ITALIA, ORA SERVE LA FACCIA GIUSTA

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La prima settimana dell’Europeo è finita e si ricomincia da zero. Due anni fa in Slovenia l’Italia andò sul 5-0 dopo la prima settimana, ma poi iniziarono i guai, dovuti soprattutt­o alla panchina corta. Anche la prima fase di Berlino è stata importanti­ssima per l’Italia e quello che ha fatto è stato bellissimo, ma ora è fuori dalla finestra. Un po’ come nella Ncaa, quando finisce la fase regolare e inizia il torneo vero e proprio. Ora cominciano le finali. O vinci oggi o sei a casa domani. Serve un cambio di mentalità.

E non bisogna avere paura. Il tempo della paura è passato, si gioca per la gioia. Se nella prima settimana una squadra ha tutto da perdere, d’ora in poi c’è tutto da vincere. All’Italia servirà grande intensità, e poi dovrà fare ciò che non ha fatto finora: entrare nel primo quarto e giocare subito bene, con tanta aggressivi­tà, come finora ho visto sempre fare alla Serbia. Non chiedo di vincere il primo quarto 22-11, ma almeno pareggiarl­o. Nelle prime cinque partite l’Italia è sempre partita piano. Poi ha fatto diverse rimonte, con la Turchia, la Spagna e la Germania, ma ora non si regala più nulla.

Ora serve la faccia giusta, la «good face» come si dice in America. Quella che per la prima volta ho visto a Bargnani, contro la Spagna: aveva l’atteggiame­nto perfetto per affrontare la partita. Se entreranno tutti in campo così, allora va bene. Ora non c’è più niente da perdere e quindi non bisogna avere paura. Quando allenava il Manchester United, prima della partita Ferguson diceva ai suoi giocatori tre semplici parole. «Enjoy your game», godetevi la partita. Quindi togliersi di dosso la scimmia e giocare con i piedi che volano. Israele agli ottavi va presa con le pinze. Prima di tutto, però, non bisogna pensare ad altro. Nessuna attenzione a chi, semmai, incontrera­i ai quarti. Già alla prima partita ti stai giocando l’Europeo, punto. In psicologia si chiama compartime­ntalizzazi­one, ed è come se avessi davanti tante scatole diverse: se ne apre una alla volta.

E poi il tiro. È anche gesto agonistico, non lo fai solo con la mano ma anche con il cervello. E come se al momento di lasciare la palla dicessi «Vai dentro». Bisogna essere spensierat­i, dire «Io di testa sono libero e questo per i miei avversari è un problema». Tirare agonistica­mente, senza chiedersi «Oddio, cosa succede se sbaglio?». Tirare non per fare canestro, ma per uccidere. Poi ci sono la preparazio­ne tecnica, le marcature e tutto il resto, ma d’ora in poi la differenza la faranno un rimbalzo in attacco, uno sfondament­o, una palla vagante. Lì dove una squadra mostra la propria faccia.

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