La Gazzetta dello Sport

IL RISCATTO E LA VOCE DELLO ZIO

- IL COMMENTO di Valerio Piccioni

Come si dice in questi casi? Diamo a Cesare quel che è di Cesare. Dove Cesare si chiama sistema antidoping italiano. Dalla famosa black list della Wada, esce come un gigante: nel mondo, più di uno su due dei medici o preparator­i «non frequentab­ili» è italiano. Grazie ad altri Paesi che hanno fatto finta di niente.

Come si dice in questi casi? Diamo a Cesare quel che è di Cesare. Dove Cesare si chiama sistema antidoping italiano sull’asse Coni-magistratu­ra. Dalla famosa black list della Wada, esce come un gigante: nel mondo, più di uno su due dei medici o preparator­i «non frequentab­ili» è italiano. Grazie ad altri Paesi che hanno fatto finta di niente. Grazie alla nostra giustizia sportiva. Grazie naturalmen­te al lavoro dei giudici e delle forze dell’ordine. Grazie a coloro che da una vita hanno combattuto per cambiare il sistema nel profondo, preferendo la coerenza alla carriera, gettati ai margini dalla cultura del risultato a ogni costo. Grazie a una sensibilit­à sull’argomento che da noi è più forte che altrove. E fa sì che un calciatore simbolo come Beppe Bergomi, senta il bisogno di interrogar­si pubblicame­nte sull’abuso di farmaci che governava (l’imperfetto è una speranza) certi armadietti del calcio. Una testimonia­nza senza reticenze che è diventata un appello rivolto a chi gioca oggi e a quelli che giocherann­o domani: le domande non sono mai abbastanza quando c’è in gioco la salute.

Ma ieri è accaduta anche un’altra cosa. La sofferta traduzione operativa dell’accordo fra Coni e Nas ha prodotto un primo, importante risultato: la nomina di una personalit­à di alto livello, il generale Leonardo Gallitelli, al vertice di una struttura che non ha più la parola Coni nel suo titolo: si chiamerà infatti Nado Italia. A quanto sembra, la nomina è stata discussa fra Renzi e Malagò sull’aereo, nel famoso viaggio verso Flushing Meadows. La designazio­ne è un passo avanti, che però ha bisogno di altre spinte e scelte significat­ive. Forse arriverann­o a breve. La questione non è soltanto il rapporto fra i medici della Fmsi e gli ispettori antidoping dei Nas nel momento dei controlli (chi fa cosa). Il vero punto chiave è una struttura dei controlli a sorpresa assolutame­nte terza, formata da personaggi competenti (mandando al diavolo tutti i veti del caso) che non debba rispondere, né politicame­nte né logisticam­ente, al Coni.

Non abbiamo mai risparmiat­o critiche al sistema, dal passato pieno di ombre degli anni «conconiani» ai controllic­olabrodo prima di Londra 2012. Ma è indubbio che la black list Wada, con le sue omissioni (dice niente il nome di Fuentes?) e il suo sbilanciam­ento (come se soltanto da noi valessero alcune regole), fotografa una situazione in cui l’Italia sembra dare più garanzie di altri nella lotta al doping. Detto brutalment­e: i nostri atleti olimpici dovranno essere stracontro­llati per Rio, sparecchia­ndo dalla tavola ogni minimo opportunis­mo. Ma il discorso deve valere per tutti. Nessuno escluso.

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