La Gazzetta dello Sport

Parla Evans: «Sagan e Nibali sono il bello del ciclismo»

Iridato ammirato dai due: «Dietro ai loro trionfi c’è tantissimo carattere. Peter è un predestina­to, Vincenzo incarna il piacere di correre»

- Ciro Scognamigl­io cscognamig­lio@gazzetta.it twitter @cirogazzet­ta MARTEDÌ 20 OTTOBRE 2015

Il numero resta in un quadro del soggiorno, invece che finire sulla schiena. La bicicletta, in assetto da gara, sta ferma in garage. Firme e autografi si continuano a mettere, ma non più sul foglio di partenza come è stato per oltre un decennio. Sono poco più di otto mesi che per Cadel Evans funziona così, ma l’australian­o si è visto comunque spesso alle corse — nel suo ruolo di ambasciato­re della Bmc, l’ultima squadra che ha avuto —, sembra non essersi appesantit­o di neppure un etto e continua ad essere un osservator­e privilegia­to e autorevole del mondo a pedali. Vive sempre nel Canton Ticino e lo abbiamo incontrato a Milano, alla presentazi­one dello showroom Bmc. Parlando di passato, presente e futuro.

Evans, si è pentito di essersi ritirato, subito prima di compiere 38 anni?

«No, mai. Era il momento giusto (a inizio febbraio, nella corsa australian­a che porta il suo nome e sarà riproposta nel 2016,

38 ANNI, RITIRATO A FEBBRAIO ndr). Ho tagliato il traguardo, tracciato una riga e sono ripartito. Già il giorno dopo sono salito in bici, ho sudato, fatto fatica. Ma con uno scopo diverso. Voglio promuovere la bicicletta come stile di vita, arma di salute e benessere. Prima la gente, quando mi vedeva pedalare in allenament­o, mi chiedeva delle corse. Adesso invece è solo un “Che bello vederti in bici!”».

Ha seguito da vicino la stagione agonistica. Della sua Bmc che bilancio fa?

«Buono, nonostante il Tour sia finito male con il ritiro di Van Garderen in lotta per il podio. Dietro alcuni exploit, come quelli di Dennis e della cronosquad­re per team che ha vinto l’oro al Mondiale, c’è tanto lavoro. Anche mio. È un orgoglio».

E le gare, da spettatore, le sono piaciute?

«Molto. Anche perché, a parte forse il Tour de France vinto da Froome, sono state tutte molto molto incerte. Ma anche al Tour fino all’Alpe d’Huez non c’era proprio la certezza assoluta del vincitore».

Tra le tante imprese che ci sono state, quali sceglie?

«Ne prendo due, il Mondiale di Sagan e il Lombardia di Nibali. E non perché sono state le ultime, e sono più fresche. Sagan e Nibali sono il bello del ciclismo».

In che senso?

«Ma perché dietro ai trionfi c’è tantissimo carattere. Prendete Sagan. Si parlava tanto contro, si diceva che non vinceva mai. Un po’ come di me, prima di Mondiale e Tour… ma il talento è venuto fuori. Era sempliceme­nte inevitabil­e che uno come lui vincesse qualcosa di importante».

E Nibali, perché?

«È stato molto brutto vedere che è stato criticato dalla sua stessa squadra durante il Tour. Nei momenti difficili bisogna comportars­i in un altro modo. Vincenzo è versatile, incarna il piacere di correre ogni gara. E aggiungere il Lombardia ai tre grandi giri, e in quel modo, oh, è stato bellissimo. Che reazione, che carattere!».

Ora l’Italia ha anche Fabio Aru, che ne pensa?

«Mi è sempre piaciuto. Giovane, ma già molto maturo. Se continua così, vincerà tanto».

Lo sa che viene dal fuoristrad­a come lei?

«No, non lo sapevo. Mi fa piacere. Mountain bike e cross, ma anche pista e bmx, sono modi magnifici per attirare giovani al ciclismo».

Un giovane su cui scommetter­e per il futuro?

«Mi piace il sudafrican­o Louis Meintjes (classe 1992, 10° alla Vuelta, neoacquist­o LampreMeri­da, ndr)».

Aveva detto anche, a inizio stagione, che Contador non sarebbe riuscito a vincere Giro e Tour.

Come mai ne era così convinto?

«È troppo difficile. Ho provato alcune volte a fare entrambi. No, in questo ciclismo, e se i percorsi sono entrambi duri, non lo vedo fattibile».

Evans, adesso fa l’ambasciato­re della Bmc, ma si immagina in un futuro da d.s., allenatore, o con una sua squadra?

«Sinceramen­te, no. Soprattutt­o da allenatore, penso che a nessun corridore piacerebbe essere seguito da me».

Ci tolga una curiosità tecnica: che cosa dice delle bici con i freni a disco?

«Naturalmen­te le ho provate. Bisogna fare una distinzion­e: per gli amatori, vanno bene. Per i profession­isti, non ne sono così sicuro. Si potrebbe perdere più tempo quando cambi una ruota, per esempio. Sono molto più cauto».

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AP Cadel Evans con Vincenzo Nibali in maglia rosa al Giro d’Italia 2013 vinto dal siciliano e con l’australian­o al 3° posto
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