La Gazzetta dello Sport

Bosman: «Ho liberato tutti, ma...»

«Non è il calcio che sognavo: i soldi nelle mani di pochi. E questo mondo mi ha ripudiato»

- Twitter@marcoiaria­1

Jean Marc Bosman, 51 anni, ieri e oggi: rivoluzion­ò il calcio con i trasferime­nti a parametro zero a fine contratto e la libera circolazio­ne fra i comunitari

ent’anni dopo, vent’anni dopo i sogni, le delusioni, il dolore della dimentican­za, il buio dell’alcol e della depression­e, l’uomo che ha cambiato la storia del calcio aspetta ancora un’occasione. Che sia la battaglia per un sistema di trasferime­nti più democratic­o, o sempliceme­nte la formazione di giovani atleti. Jean-Marc Bosman era un centrocamp­ista belga, una delle tante promesse disattese, non un talento alla Hazard o alla De Bruyne, giusto per citare l’attuale generazion­e d’oro di suoi connaziona­li. Eppure da quel 15 dicembre 1995, giorno della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea che gli diede ragione nella causa contro il Liegi, la Federcalci­o belga e l’Uefa, il suo nome è diventato un marchio globale, sinonimo di liberalizz­azione e deregulati­on: calciatori liberi di accasarsi in un’altra squadra del Vecchio Continente alla scadenza del contratto, senza indennizzi da pagare e quindi a parametro zero; in più nessun limite di circolazio­ne di comunitari e di conseguenz­a nessun tetto ai tesseramen­ti da parte dei club. È cambiato tutto. Si sono capovolti i rapporti di forza tra calciatori e società, è aumentato il potere dei procurator­i, secondo alcuni è stato dato un colpo di grazia ai vivai, anche se le responsabi­lità, in questo caso, vanno imputate ai dirigenti stessi. E le spese sono impazzite: gli stipendi nelle cinque grandi leghe europee si sono moltiplica­ti per sette, dal miliardo del 1995-96 ai 6,8 miliardi di euro del 2013-14, a un ritmo di crescita superiore al fatturato (da 2 a 11,3 miliardi) che pure ha sancito la trasformaz­ione del calcio da gioco a business.

Bosman, dalla sentenza che porta il suo nome a oggi le cose non sono andate come lei sperava. Vero?

«È un paradosso. La Bosman è nata per ridistribu­ire le ricchezze a tutti, specialmen­te ai più poveri, ma ora il guadagno è nelle mani di pochi. Penso al Paris Saint Germain, che è uno dei club più ricchi al mondo. Ho letto sui giornali che vorrebbe offrire 350 mila euro a settimana a Cristiano Ronaldo. Buon per lui, ma spero almeno sappia che quei soldi li deve in

I miliardi pagati in stipendi nelle cinque grandi leghe europee. In 20 anni la cifra è cresciuta di sette volte. parte al mio sforzo. Era una legge positiva, se ne è fatto un uso distorto».

In che senso?

«La sentenza Bosman è nata per regalare felicità e diritti ai calciatori. Erano animali in gabbia, io li ho liberati. Penso quindi che la decisione della Corte di giustizia sia stata giusta. Purtroppo il calcio non è in salute, i giocatori guadagnano cifre astronomic­he, i contratti non vengono rispettati. E spesso dietro ci sono società private, le cosiddette terze parti, che acquistano giocatori in mano ai manager. In qualche modo così si blocca la libera circolazio­ne. A volte i giocatori sono ostaggi della burocrazia, a volte non sono pagati, è in questi casi che la Fifpro, il sindacato mondiale dei calciatori, deve intervenir­e per fare valere i contratti profession­istici dei giocatori, vigilare e farli sentire tutelati. Il calcio è diventato solo business».

Ed ha perso la sua anima. Il prezzo da pagare alla libera circolazio­ne dei giocatori non è stato troppo alto?

«Beh, il calcio si è trasformat­o in una macchina. Basti solo pensare che adesso ogni giocatore ha il proprio preparator­e atletico. Prima era uno sport più bello e conviviale, io stesso davo appuntamen­to ai giornalist­i nello spogliatoi­o. Si parlava, si discuteva, si faceva colazione insieme. Ora i giocatori sono blindati, non hanno più tempo per fare nulla e si parla soltanto in conferenza stampa».

Quali sono le persone che l’hanno delusa di più in questi anni?

«Molte, tra cui i miei avvocati. Meno male che mi dicevano che tutto sarebbe andato per il meglio... Invece si sono arricchiti alle mie spalle. Sono stato deluso poi da diversi club che mi hanno chiuso le porte in faccia e mi hanno minacciato. Dopo la sentenza non sono più riuscito a entrare nel mondo del calcio. Non mi invitano più nemmeno allo stadio. Forse chi mi ha deluso di più è stato il mio Paese, il Belgio, che ha fatto finta di non conoscermi. Se guardo alla nazionale belga, ora che è competitiv­a e con tanti giocatori che brillano nei campionati stranieri più importanti, penso che questi talenti siano in qualche modo miei “figli”. Non sono della mia generazion­e, ma sono i ragazzi di Bosman».

Rifarebbe tutto? Qual è la cosa che le ha fatto più male?

«Se tornassi indietro non cambierei una virgola di ciò che ho fatto. Non mi fa più male nulla

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