La Gazzetta dello Sport

I PIU’ BASSI

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Ecco l’altezza in centimetri dei giocatori più bassi dei 5 maggiori campionati europei (Italia, Francia, Germania, Inghilterr­a e Spagna).

Non ha mai avuto problemi per l’altezza?

«Ma guardate che in Argentina essere bassi è considerat­o un pregio, non un difetto. Ogni squadra schiera almeno un paio di piccoletti e gli allenatori non li snobbano, anzi cercano di valorizzar­e le loro potenziali­tà. Devo ricordarvi di gente come Maradona e Messi?».

E’ soprannomi­nato «el nano», non è un gran compliment­o.

«Mi va bene, da noi non è una parola offensiva come in italiano».

Meglio «el frasquito», la bottigliet­ta.

«Più bello, sì, perché io sono fatto così: quando mi stappano, mi metto a correre e non mi fermo più».

Lei, il Papu Gomez, Giaccherin­i: in Italia i piccoli vanno di moda.

«Il fisico aiuta, ti permette di trovare subito la condizione, anche di fare giocate particolar­i. Ma essere leggeri comporta altri rischi: i difensori ti picchiano meglio...».

Si sente più esterno, trequartis­ta o seconda punta?

«Non ho problemi a fare i tre ruoli, in Argentina e con Colantuono giocavo soprattutt­o dietro il centravant­i».

A proposito: il suo amico Denis sembra aver superato la crisi.

«Spero e penso di sì. Ha avuto un inizio difficile, è stato frenato da un infortunio e ha giocato poco».

Zanetti resta il mito degli argentini d’Italia?

«Certo. Sarà retorica, ma rappresent­a la faccia pulita dal del calcio, anche fuori dal campo. Un modello per tutti».

Il gol più importante di Maxi?

«Quello segnato all’Huracan quando giocavo nel Racing e che ci ha dato la vittoria nel campionato di Clausura del 2009. Ma non è stato male neppure quello a Verona contro il Chievo due anni fa. tanto per restare all’attualità».

Cosa significa avere un allenatore di 70 anni?

«Un patrimonio di esperienza incredibil­e, ma non solo. Con Reja è facile scherzare, c’è un ottimo rapporto, l’età non conta».

I tecnici argentini?

«Sono meno preparati degli italiani, anche perché da noi il calcio è diverso, c’è molta tecnica e poca tattica, più abitudine a correre, a fare l’uno contro uno».

E Simeone?

«Nel 2006 giocava con me nel Racing, poi da un giorno all’altro gli hanno chiesto di passare dal campo alla panchina. Ma si vedeva che non aspettava altro, che aveva già la testa giusta per allenare».

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