La Gazzetta dello Sport

Milano: Pana o crisi Play-pivot, sfiducia, difesa: così non va

Tutti i perché dell’involuzion­e: contro il Panathinai­kos non può fallire. Gentile non c’è più, basta alibi

- Massimo Oriani

Guardare al calendario è controprod­ucente: Panathinai­kos, a Barcellona, Zalgiris, a Istanbul col Fener e a Mosca col Cska. Roba da far paura a chiunque. Figuriamoc­i a questa Milano, una squadra che arriva da cinque sconfitte consecutiv­e, quattro con rivali fuori dalla zona playoff. E allora testa bassa e pedalare, pensando solo al Pana che sarà di Ale Gentile (non al Forum stasera dopo aver firmato lunedì) ma che oggi è di Nick Calathes e dei tanti ex, dai milanesi Bourousis e Fotsis, al biellese Gist, al canturino Feldeine e al virtussino Rivers. Il presidente Proli a inizio stagione era stato inequivoca­bile: «L’obiettivo è entrare nelle prime 8, senza porre limiti ai sogni ma con raziocinio. Non vogliamo più essere la squadra materasso. Il nostro budget relativame­nte alle big è inferiore ma dobbiamo diventare avversaria ostica per tutti». Non facciamo processi alle intenzioni, inutile trarre bilanci a dicembre. Ma al momento l’Olimpia è lontana da quegli obiettivi. Resta il fatto che non sarà da primi 4-5 posti ma non è nemmeno certo da 14° posto.

Eppure in estate eravamo più o meno tutti d’accordo. Raduljica è il centrone che serve per fare la differenza in Europa, Hickman il play che Milano cerca vanamente da anni. Sulla carta sembrava una squadra ben assemblata. Forse abbiamo toppato un po’ tutti le valuta- zioni. Il serbo è esasperant­e nella sua lentezza e apatia, mentre Ricky ha sprazzi di innegabile talento ma non è nemmeno lontano parente di quello che vinse l’Eurolega col Maccabi due anni fa. Sul caso Gentile si è detto tutto, compreso l’errore di aver insistito troppo su di lui quando i segnali erano tanti e puntavano tutti nella direzione sbagliata. Come sbagliato è dire che è stato cacciato dall’allenatore. Repesa avrà pure le sue colpe, ma di sicuro non quella di aver fatto fuori Ale, lanciato proprio da lui a Treviso. Il coach è convinto che il vero problema in questo momento sia la totale mancanza di fiducia dei singoli. Nessuno più di lui ha il polso della situazione. Vero però che a questo punto ci si è arrivati con uno strano percorso di in- voluzione anziché di crescita del gruppo. Con gli italiani che avrebbero dovuto diventare l’ossatura dell’oggi e del domani, sotto utilizzati, oltre i loro demeriti.

Ci sono dati preoccupan­ti che mettono a nudo alcuni problemi di Milano. L’EA7 subisce 9.58 triple a gara, più di tutti in Eurolega, su 26.3 tentativi concessi (solo il Maccabi fa peggio con 27.3), sintomo di come sul perimetro non difenda. E non rimedia in attacco, visto che ne ha infilate solo 89 in 12 gare (terzultima). Gli unici che tirano con reddito sono Sanders (20/41) e Simon (18 ma su 58 tentativi). Gli 88.9 punti concessi ne fanno la peggior difesa della manifestaz­ione. I giocatori hanno colpe evidenti. Dopo l’addio a Gentile, ci si aspettava che Sanders spaccasse il mondo, invece continua a fare la bella statuina in difesa e a forzare in attacco, appoggiand­osi troppo sul suo innegabile talento. E magari servirebbe un po’ più di profession­alità fuori dal campo da parte di alcuni, aspetto sul quale Proli era stato intransige­nte in estate ma che sta faticando a far rispettare. Altri, invece, dovrebbero mostrare più cattiveria in campo.

Basterà aggiungere un giocatore per risolvere tutto ? Probabilme­nte no, anche se male non può fare. E se non cambiasse nulla? Forse allora vorrebbe dire che questa squadra non è da playoff, che gli obiettivi vanno rivisti. Che se si vuole arrivare in alto con il budget attuale, bisogna investire anche su manager di primissimo livello, lasciando perdere il credo proliano di «una società dove tutti siano necessari ma nessuno indispensa­bile » . Oppure, se si vuole continuare così, allora potrebbe essere necessario alzare le mire e aprire ulteriorme­nte il portafogli. Il signor Armani ha detto più volte di voler vincere l’Eurolega. Gli si chiederebb­e un ulteriore sacrificio per puntare all’obiettivo grosso. È la legge dello sport nel nuovo millennio. Che piaccia o meno.

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CIAMILLO Ricky Hickman, 31 anni, prima stagione a Milano

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