La Gazzetta dello Sport

BERNARDESC­HI & C., BABY BOOM ITALIA

- di PAOLO CONDÒ DÒ twitter: @PaoloCond

La splendida prestazion­e di Federico Bernardesc­hi contro il Napoli - dunque in una partita importante e difficile - ha finito di convincerc­i che la Nazionale italiana sia in viaggio verso un’epoca d’oro. Che questo si traduca in vittorie è ovviamente da vedere, la storia del calcio è piena di generazion­i che non hanno reso in base al loro potenziale: ma esaurita questa premessa - obbligata come le controindi­cazioni di un bugiardino - la pausa natalizia invita al bilancio del talento espresso nella prima metà di campionato, ed è un bilancio finalmente ricco. Molti club hanno dato spazio ai giovani italiani, che hanno risposto alzando il volume e mostrando qualità in ogni reparto: da Donnarumma a Rugani, da Gagliardin­i a Belotti, non c’è settore del campo nel quale non si annuncino giocatori di alto livello. Una situazione molto diversa rispetto a un recente passato nel quale, per esempio, abbiamo spesso lamentato l’assenza di grandi attaccanti. La sensazione è che quest’Italia giovane e completa possa raggiunger­e la maturità tecnico-agonistica - quella che ti fa competere con decisione per la vittoria - fra l’Europeo del 2020 e il Mondiale in Qatar del 2022. Parliamo di una generazion­e nata negli anni 90, e che ha nel ‘94 la sua stagione millesimat­a con Rugani, Gagliardin­i, Bernardesc­hi, Berardi e Caldara: un anno in più sulle spalle di Belotti, Sturaro e Politano, uno in meno su quelle di Romagnoli, Mazzitelli e Petagna (fidatevi, un giorno comincerà a segnare e non si fermerà più), aggiungete­ci il «vecchio» Verratti (’92, in Qatar avrà 30 anni) e il baby Donnarumma (’99) e la rosa comincia a prendere forma. Per completarl­a, al momento opportuno, Giampiero Ventura o chi per lui pescherà fra gli anziani dell’epoca, da Immobile a Insigne, oppure fra i ragazzini che si affacciano ora, da Pellegrini e Chiesa a Locatelli. Senza contare che una A capace di far debuttare il 2000 Kean e il 2001 Pellegri può riservare altre sorprese. Come si trasforma una generazion­e sicura ma ancora un po’ futuribile in una squadra che possa competere già nel 2018? È il tema, natalizio fino a un certo punto (i pericoli non sono pochi), sul quale Ventura ragiona da un po’: l’eredità di Antonio Conte era per certi versi un frutto avvelenato, perché un Europeo buono alle soglie dell’ottimo aveva buona parte della sua spiegazion­e nell’empatia creata dal c.t., e non (solo) nel valore intrinseco dei giocatori. La squadra ora è cambiata, appartiene più a Ventura com’è giusto che sia, ma ormai è difficile immaginare che riesca a qualificar­si senza passare per un delicato spareggio. Non è la situazione ideale per fare scuola ai giovani, andando a regola; ma l’altra sera Bernardesc­hi delle regole se n’è fregato, ed è stato una meraviglia. Mai dimenticar­e che i campioni sono sfrontati.

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