«Ho buttato il calendario 2016 Pilates e mobilità: mi sento nuovo»
22 gennaio il terribile incidente: il parmense della Movistar racconta come sta recuperando
HO SPOSATO ELISA, MIGLIORO BRUTALMENTE. HO IMPARATO CHE NON SERVE PORSI LIMITI
Ha preso il calendario dell’anno che da poco ci ha salutato e l’ha buttato. Materialmente. L’accortezza di aver rispettato la raccolta differenziata («L’ho messo nel residuo della carta») non cancella il furore di fondo di un gesto tutt’altro che simbolico: Adriano Malori non vedeva l’ora di chiudere per sempre con quel 2016 iniziato rischiando la vita al Tour de San Luis per l’ematoma cerebrale causato da una caduta terribile e chiuso con una frattura di una clavicola (fine settembre alla Milano-Torino) e un virus a dicembre che lo ha costretto di fatto a ricominciare da la preparazione. «Poi è chiaro – dice il parmense della Movistar – che ci sono stati anche momenti belli. Il matrimonio con Elisa, l’essere riuscito a tornare a correre in Canada. Ma il 2016 resterà l’anno che mi ha condizionato in maniera irrecuperabile la vita, per sempre. Meglio dimenticarlo che ricordarlo». Il pomeriggio è freddo e luminoso. Adriano Malori, assieme alla moglie, vive a Castione de’ Baratti (frazione di Traversetolo) e incontra la Gazzetta in un bar di un centro commerciale di Parma. Gennaio non è un mese banale: il 22 sarà un anno da quella caduta, il 28 Adriano compirà 29 anni. E ora che è tornato a vivere e a pedalare, non si vuole fermare più.
Adriano, come sta?
«Sto migliorando ‘brutalmente’. Mobilità, postura. E la posizione in bici. Adesso mi alzo in piedi, stacco le mani, e da come mi muovo vedo che è tutto più naturale rispetto a inizio settembre, in Canada».
E mentalmente?
« Riassumo con una frase. ‘Il mio peggior nemico… sono io stesso prima dell’incidente’. Io abito lungo una strada che si chiama Val d’Enza. Tira al 2-3% per 20 km. Ogni volta che esco di casa, e vado come vado, penso al 2014 quando la facevo per preparare il tricolore a crono in Trentino a Malè. All’epoca, usavo il 56 pieno a più di 40 all’ora. Per come sto adesso, è un paragone mostruoso, capito? Questo è condizionante. Che poi, sinceramente…».
Sì?
«Provo quasi vergogna a dirlo, pensando a dove stavo e alla gente con cui ho vissuto durante i mesi di riabilitazione. Provi a dire a un malato con problemi neurologici che sei triste e scoglionato perché non fai la Val d’Enza con il 56. Ti tira una sberla, e la meriteresti».
Non è stato troppo presto rientrare già a settembre?
«No, anzi. E’ stato un bene. Ho visto le cose da correggere, da migliorare. E lo sto facendo».
Ma quella ulteriore caduta della Milano-Torino non le ha fatto pensare ‘chi me lo fa fare’?
«Sì, ci ho pensato. Sul momento è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ma dopo una settimana la riflessione è stata ‘mi sono risollevato dopo una paralisi, non mi faccio buttare a terra da una clavicola’».
Quando correrà nel 2017?
«Mi sto allenando a casa, continuo a fare tutto quello che devo. Soprattutto ho trovato molto importante il pilates, mi segue una persona allo Studio Respira di Traversetolo. Lo farò pure durante la stagione. Avrei dovuto cominciare a Maiorca a fine mese, ma forse slitterò a Murcia e Almeria, 11-12 febbraio».
Il 22 gennaio, un anno dalla caduta, che farà?
«Magari una delle idee che avevo lanciato su twitter per l’ultimo dell’anno, bere 247 gin-tonic (ride, ndr)».
Malori, le basta essere esempio di ‘rinascita’ o vuole tornare l’atleta 2° al Mondiale crono 2015?
«Le due cose vanno scorporate. Punto di vista sportivo, e punto di vista umano. Sportivo: bisogna sempre porsi obiettivi più alti. Correre nel 2016 sembrava una pazzia, eppure ho corso. Fa parte del ciclista voler fare 11 pure se il massimo è 10, alzare sempre l’asticella. Umano: i risultati, anche se non si vedono nell’immediato, si ottengono. Tanti hanno la possibilità di recuperare, ma non succede perché si demoralizzano, non fanno la riabilitazione».
Un esempio personale?
«Ricordo che in clinica a Pamplona, anche se stavo male per quello che avevo, alla mattino dicevo che quella biglia che i terapisti mi mettevano in alto 30 centimetri sulla testa la volevo prendere. Non ci arrivavo. Il giorno dopo lo ripetevo, e non ce la facevo. Ma alla terza volta, la acciuffavo. Magari c’è chi rinuncia ed è sbagliato».
In autunno aveva detto “non so se tornerò a essere un riferimento mondiale della crono”.
«Ero a Faenza per il giorno della scorta. Ma sono stato male interpretato. Avevo aggiunto il ‘forse’ a quella frase, il punto interrogativo. Cambia tutto. Non avere la certezza assoluta è normale. L’interrogativo c’è. Ma secondo quelle che erano le certezze nel dopo-incidente, neanche dovevo salire più in bici. Se ho imparato qualcosa da tutto questo, è che non serve porsi limiti. “Non tornerò, non vincerò”… Ma ritornare quello di prima non è una speranza, è un obiettivo. So benissimo che è irrealistico pensare di vincere la crono della Tirreno a marzo, o in generale forse pensare di vincere per tutto il 2017».
Quanto sarà duro tutto questo?
«Dovrò mangiare tanta merda, ci saranno dei momenti in cui mi stacco anche mentre i big si fermano a fare pipì. Ma devo essere forte. Continuare. Ci vogliono tempo e pazienza. Però son convinto di poter tornare a essere l’Adriano Malori di prima. Sono convinto».