COPPA ITALIA LOW COST: BUONA IDEA, MA SI PUO’ FARE DI PIU’
Cinquanta euro per assistere a MilanTorino dalla tribuna d’onore, curve a cinque euro per Napoli-Spezia. Per riempire stadi desolatamente deserti le società provano ad agire sui prezzi, con una politica aggressiva che finora è stata scarsamente praticata. È un bene. E la Coppa Italia è il luogo ideale per gli esperimenti. Troppo spesso il pubblico reale è stato sacrificato sull’altare dei diritti televisivi: la Coppa non fa eccezione. Se all’estero i valori economici sono cresciuti di pari passo con l’affluenza agli stadi, nel nostro Paese il boom tv ha reso miopi i club. Ma ormai si è entrati in un circolo vizioso. Prendete la stessa Coppa Italia. Da quando è stata introdotta l’eliminazione diretta, con le partite secche fino alle semifinali e la finale-evento stile Champions, l’interesse delle squadre è aumentato e di conseguenza quello degli investitori: in un decennio i diritti tv sono passati da 5 a 50 milioni, la finale dell’anno scorso ha registrato l’audience più alta del 2016 in chiaro (8,4 milioni) e il secondo incasso della storia del calcio italiano per club (3,9 milioni di euro, dietro l’ultimo Inter-Juve). Il prezzo da pagare sono le partite spalmate di sera e le big blindate col fattore campo a favore. Posto che gli stadi in Italia sono mezzi vuoti in Coppa come in A, e nessuno se ne cura da anni, qui si tratta di perfezionare il format senza stravolgerlo. Idee? Far giocare le piccole in casa negli ottavi, o quantomeno prevedere il sorteggio, per poi premiarle con il posto da testa di serie (e quindi partita interna) in caso di eliminazione di una big. Anziché intasare gennaio, si potrebbe poi mutuare l’esperimento spagnolo di giocare durante la sosta per soddisfare la sete di calcio. Basta qualche sforzo in più per valorizzare ulteriormente una Coppa che non può, non deve, essere considerata una seccatura.