La Gazzetta dello Sport

SARRI E UN CALCIO DA CONQUISTAT­ORE

- di LUIGI GARLANDO ANDO email: lgarlando@rcs.s.it

C’ è qualcosa di nuovo stanotte al Bernabeu. C’è una squadra italiana che vuole prendere il pallone, tenerselo e comandare nel salotto del Real Madrid. Che è molto più di provare a vincere. Se dopo lo sgarbo al Napoli di Maradona nel 1987, i bianchi hanno dovuto attendere la stagione scorsa prima di eliminare un’altra italiana in coppa (Roma), significa che Sarri non è chiamato a un’impresa titanica. Non deve scendere negli Inferi, non deve doppiare Capo Horn in pattino. Serve molto meno. Altri colleghi hanno eliminato il Real di recente. Si può fare. Il punto è un altro: come. Molto spesso il miedo escenico imposto dall’imponenza del Santiago Bernabeu ha costretto le nostre truppe alla mistica della resistenza sofferente e del contropied­e eroico. Squadre schiacciat­e alle pareti come gli imbucati alle feste che guardano gli altri ballare. Il Napoli punta al centro della pista, vuole scatenare la sua tarantella rock. Rubare spazi e fiato. Questo è il proposito rivoluzion­ario che intriga la vigilia. Il Bernabeu si è già alzato in piedi per dedicare l’ovazione a un italiano: Del Piero, Totti. Ma a un giocatore solo, appunto. E’ dal 5 aprile 1989 che non si alza in piedi per una squadra. Quella notte il Milan di Sacchi creò calcio ad ondate, uno splendido mare senza pause; il gioco e il fuorigioco di squadra brillarono più di Gullit e Van Basten che avvitò il suo collo di cigno per incornare in volo un gol da leggenda. Arrigo suggerì Sarri a Berlusconi che, a posteriori, riconobbe di aver sbagliato a non prenderlo. Questa sera al Bernabeu, Sarri cercherà di lanciare un ponte verso l’amico Sacchi, verso il Milan dell’89, forte di un gioco che è più prezioso dei giocatori. Sul piano dell’individual­ità non c’è partita. Come fai a pareggiare uno come Cristiano Ronaldo che ha in casa più Palloni d’Oro che quadri? Quando festeggia a gambe larghe sembra il Colosso di Rodi. Ai piedi di CR7 ci si sente piccoli come ai piedi di una cattedrale gotica slanciata verso il cielo. Il gioco del Real è verticale come una guglia: una coltellata di Modric e Cristiano è in porta. E’ verticale Sergio Ramos che sale in cielo ogni volta che c’è da risolvere una partita che conta. Davanti a tanti fenomeni, il Napoli del collettivo, senza stelle esagerate, può sembrare il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. Ma è solo un effetto ottico. In realtà il calcio di Sarri è calcio da ricchi, da conquistat­ori. Il Napoli di Mazzarri rifletteva la storia di una città allenata alle dominazion­i, viveva di guerriglia contro il potere: attese e ripartenze. Il Napoli di Sarri è calcio nobile, da impero coloniale, da Spagna d’altri secoli: governa, occupa terre, ricopre gli spazi, vede il pallone come oggetto di conquista. Non lo aspetta, lo aggredisce sempre. Alemao ricorda che quando mancava Maradona nel suo Napoli, qualche compagno vomitava di paura. In questo Napoli non vomita nessuno perché è forte di conoscenze, ognuno sa che cosa fare. La paura viene dall’ignoto. El Pibe è a Madrid, ma non per dare coraggio come un tempo. Non c’è più bisogno di delegare a un totem il proprio desino. Il Maradona di questo Napoli è il gioco. Sarri resta in tuta perché ha sempre un mediano da registrare e un esterno da sincronizz­are. Un lavoro paziente da orologiaio che mira alla perfezione. Zidane veste sempre da Pallone d’Oro perché in panca deve dire quasi solo: «Vamos! ». Il Napoli da conquista ha più gioco e più allenatore. Se non gli tremerà il cuore, stanotte al Bernabeu potremmo vedere qualcosa di nuovo. Forse un pezzo di Spagna ridotto a rione partenopeo.

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