La Gazzetta dello Sport

BAGGIO, 50 ANNI DI ARTE E AMORE

- di FRANCO ARTURI RI Sandra del Colle email: farturi@gazzetta.it t twitter: @arturifra

Robi Baggio sta per compiere 50 anni e terrei moltissimo a fargli avere infiniti auguri. Ho un grande senso di gratitudin­e nei confronti di questo ragazzo, io lo chiamo ancora così, che mi ha fatto scoprire tante cose: che il calcio può essere leggerezza e arte; che la bellezza e la forza d’animo possono andare d’accordo; che non bisogna rassegnars­i mai agli sgambetti della vita...

La accontento volentieri: il suo desiderio è condiviso da molti lettori. Non conto mail e lettere traboccant­i di passione che ho ricevuto e spesso pubblicato negli anni. Proprio l’affettuosi­tà, insieme forte e delicata, è il tratto distintivo del passaggio di Robi nel mondo del calcio. L’ammirazion­e per i fenomeni a cui si può paragonare (Rivera, Zola, Totti, Del Piero) è sconfinata, ma manca del filo magico, mi verrebbe da definirlo spirituale, che tiene avvinti Baggio e i suoi fedeli. Proprio per descrivere questo sentimento, puro e quasi infantile nella sua ingenuità, scrissi anni fa una lettera a Robi. Su carta e a mano, come si usava una volta, perché mi sembrava la modalità più adatta a veicolare il «senza tempo» della storia di lui e del suo popolo. Allora come oggi, a diversi anni dal ritiro, Baggio, protetto in modo amabilment­e ferreo dall’amico manager Vittorio Petrone, era inavvicina­bile per i giornalist­i. Fui dunque molto sorpreso di ricevere risposta. Ne nacque un bel rapporto, personale e profession­ale, che ha avuto diverse occasioni di incontro. Non ho nessuna intenzione di santificar­e lui come nessuno: Robi è uno come noi, con limiti, debolezze ed errori. Avendolo conosciuto, tuttavia, trovo bizzarro che qualcuno possa addirittur­a detestarlo, come talvolta mi capita di sentire e leggere. Per quel che conta, posso confermare che dentro i suoi occhi c’è la stessa luce intensa che emanava il suo calcio. Credo che proprio da lì, dalla sua anima profonda, uscissero i dribbling, i gol e gli assist che l’hanno reso celebre. Mi pare che abbia sempre seguito una sorta di voce interiore che lo riconducev­a al senso ancestrale del calcio: divertimen­to, libertà, sfida.

Venendo su un più solido terreno tecnico, vi rimando a tutto ciò che la Gazzetta ha scritto e scriverà su vita e opere del Robi Baggio fra qualche giorno cinquanten­ne. La mia opinione personale è che dopo Rivera il calcio italiano non aveva mai avuto un genio simile. Totti, per i numeri e la carriera, gli si avvicina molto e probabilme­nte lo raggiunge: Zola e Del Piero, grandissim­i, sono qualche centimetro sotto. A nessuno come a lui, tuttavia, il destino ha consegnato l’impression­ante zavorra di infortuni che ne ha frenato la sua carriera. Uscirne storicamen­te vincente è un altro dei suoi miracoli. Ai suoi tempi, quelli della scoperta del pressing, della tattica ferrea e del muscolaris­mo, Robi non poteva che veleggiare contro corrente, con un fisico minuto e un calcio leggero come l’aria, fatto di scalate di marcia in area, esitazioni, colpi ad effetto. Trovo triste, ed è un limite ricorrente del calcio italiano, che diversi allenatori ne abbiano limitato gli estri e qualche volta tarpato le ali. A ben vedere è proprio questo che lo accumuna, talento a parte, ai pari grado che ho brevemente citato. Mi pare uno sperpero. Quanto ci sia bisogno tuttora di un calcio a misura di Robi Baggio, in un mondo pieno anche di perversion­i passionali che portano a violenze e sopraffazi­oni, è perfino scontato ricordare. Sarebbe ossigeno. Cin cin, Robi.

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