AURIEMMA E LE SUE DONNE INVINCIBILI
IL COACH NATO IN ITALIA TOCCA LE CENTO VITTORIE CONSECUTIVE NEL TORNEO DELLE UNIVERSITA’. ULTIMO K.O. OLTRE 2 ANNI FA: «NON SERVE PERDERE PER MOTIVARCI»
Stavolta non è andato in escandescenze come gli capita spesso mentre cammina instancabile lungo l’area davanti alla panchina: «Il carattere focoso mi arriva da Montella, provincia di Avellino», ci raccontò anni fa Luigino Auriemma, che qui chiamano Geno (con la e). Anzi. Lunedì sera Auriemma ha spesso sorriso, anche se la vittoria contro South Carolina (n° 6) per 66-55 non è stata semplice come molte delle sue ultime 99. Sì, 99. Così, ora le sue ragazze di UConn (University of Connecticut) sono a quota 100 successi consecutivi (56 con un margine superiore ai 40 punti e appena due sotto i 10), una cifra che incute rispetto. Ma è solo l’ulteriore record (maschile e femminile), che da inizio gennaio viene ritoccato di gara in gara: quello precedente, una striscia di 90, apparteneva sempre a loro, ottenuto fra il 2008 e il 2010. Pazzesco? Sì, pazzesco.
AUTOGRAFO «Ma questa è la nostra forza: contro chiunque abbiamo di fronte non ci fermiamo mai » , ha cercato di spiegare Geno dopo la gloriosa centesima volta. Con una posta in palio tanto bollente, lunedì c’era il rischio di farsi stritolare dalla tensione. Infatti, alcune delle protagoniste dell’ennesima stagione straordinaria, come la miglior realizzatrice Katie Lou Samelson, sono andate in panne. Ma sono emerse Gabby Williams, che ha infilato 26 punti, e Napheesa Collier, che ne ha aggiunti altri 18. Al giornalista di Espn che ha preteso un suo autografo sul pass in diretta nazionale, Auriemma ha detto: «Queste ragazze sono responsabili solo di una parte di questa lunga fila di vittorie. L’unico modo per vantare dei diritti è conquistare il titolo». Insomma, proibito fermarsi adesso. Perché i record sono belli e fanno discutere, ma alla fine conta vincere i campiona- ti. E UConn ne ha conquistati 11 (altro primato), tutti sotto la sua guida tecnica.
DINASTIA Sì, il mago è lui. Altrimenti non si spiegherebbe come UConn domini il basket universitario femminile da un paio di decenni con gruppi diversi di ragazze che si alternano ogni tre o quattro anni. C’è stata l’era di Rebecca Lobo, Diana Taurasi, Sue Bird, Maya Moore. E l’ultimo titolo Ncaa, quello dell’anno passato, portava la firma di Breanna Stewart, di Mariah Jefferson e di Morgan Tuck, che se ne sono andate la scorsa estate assorbite dal draft della Wnba ai primi tre posti. Qualunque altra squadra sarebbe forse affondata, perché il ricambio generazionale non è mai scontato e spesso non immediato. Ma i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ora UConn guida anche questo torneo con un bilancio di 25-0. L’ultima sconfitta della striscia è stata il 17 novembre 2014 (di due punti al supplementare contro Stanford), ma prima era stato realizzato un filotto di 46 vittorie. Dunque, il record dal 2013 è di 146-1. Significa che per tre anni e tre mesi, molte di queste ragazze non hanno mai capito bene che cosa significhi perdere. Incredibile? «È questo il nostro motto: non serve perdere per motivarci», dice ancora coach Auriemma.
DIALETTO Quando Geno arrivò a UConn nel 1985, il programma femminile era un disastro: non aveva mai vinto e divideva gli spogliatoi con i ragazzi. In questi 31 anni e spiccioli ha costruito una potenza. Diecimila spettatori, cioè il tutto esaurito, alle gare casalinghe; un contratto tv da 4.55 milioni di dollari per 4 anni e il suo stipendio salito fino a 10.9 milioni per 5 stagioni. Quando lo incontrammo nel 2010, dopo aver battuto il record (che pareva indistruttibile) di coach Wooden che con la squadra maschile di Ucla aveva inanellato 88 successi consecutivi, ci disse in dialetto: «Come faccio? Devi volerlo fortemente e soprattutto nun me scordo mai d’o passato». In che senso? Approfondì: «Non mi scordo da dove vengo e ho una paura fot- tuta di fallire e tornare indietro». Allora ci raccontò la sua storia di emigrante. «Ricordo interminabili partite di calcio per i vicoli di Montella, cesti che andavano su e giù dalle finestre, tante biciclette e motorini. Io non ero mai salito su un’auto in vita mia. Lo feci a 7 anni per la prima volta, quando mia mamma Marsiella una mattina radunò me e i miei fratelli e ci portò a Napoli per imbarcarci. Era il 1961 e avremmo raggiunto mio padre Donato a Norristown, alla periferia di Philadephia, dove sgobbava in fabbrica».
ILLUMINAZIONE Voleva diventare insegnante di storia: «Meglio che fare l’operaio», sorrise. Invece a 21 anni gli affidarono una squadretta di basket di bambini. « Quell’esperienza fu come un’illuminazione: capii che cosa volevo fare nella mia vita». Prima di essere assunto come vice-allenatore alla University of Virginia, aveva arrotondato facendo il barista, il magazziniere, il trainer e il muratore. «Nun me scurdo mai d’o passato», ribadì. Il resto è cronaca, incluso il contratto con UConn firmato dentro a un McDonald’s. Ci disse che suo padre comprava la Gazzetta a Norristown e che la domenica prendeva l’autobus da Philadelphia per andare a New York a vedere giocare Chinaglia e i Cosmos. «Glielo giuro: quando Baggio sbagliò il rigore contro il Brasile, mi misi a piangere», confessò.
TENTAZIONE
Qualche anno fa stava per andarsene, ammaliato dall’idea di misurarsi con il basket maschile e spazzare così qualsiasi rimpianto: avrei vinto anche altrove? «Avevo già deciso, ma poi mia figlia mi fece cambiare idea», chiarisce oggi. Perché è difficile lasciare un luogo dove ti trattano come se tu fossi Dio. Geno invece ha i piedi ben piantati sulla terra. Dice: «Prima o poi perderemo. Pure la sabbia alla fine si arrende allo strapotere del mare. Potrebbe succedere alla nostra prossima partita o a quella dopo ancora. Vi assicuro: perderemo. È solo questione di quando accadrà».