Goggia gigante di bronzo Finalmente una medaglia
«Mi sono salvata in corner» Oro Worley, beffa Brignone
POLI ALLE PAGINE 26-27, COMMENTO DI NARDUCCI
Non poteva che essere Sofia Goggia l’acchiappafantasmi, la ghostbuster dello sci azzurro. Ma per colpire a morte il fantasma di Beaver Creek che aleggiava su St. Moritz insieme al riferimento agli «zero tituli» di calcistica memoria, la più simpatica sciatrice azzurra di tutti i tempi (su questo ci sbilanciamo dopo averla vista anche ieri nelle interviste tv), per sua stessa ammissione ha dovuto utilizzare la fatidica ultima cartuccia, quella che ci riporta alla mente i film western e i fumetti di Tex Willer.
La prima medaglia dei Mondiali — che dovevano essere l’apoteosi della stagione di Coppa e che invece stavano diventando stregati — è arrivata in un gigante femminile che aveva in ballo molti conti aperti e per questo ha prodotto emozioni in ogni porta del tracciato: non c’era soltanto l’Italia alla caccia del primo podio, ma c’era anche la pimpante Sofia che doveva salvare il bilancio di tutta la rassegna, oltre alla personale rivalità con Federica Brignone, che finora era stato l’argomento principale dei giornali, in mancanza di risultati. Il tutto è stato affrontato e risolto in un gigante da manuale in cui i primi due posti sono stati presi in consegna dalle due superfavorite Worley e Shiffrin.
Per la caccia al bronzo, sulla carta, si faceva preferire la vincitrice dell’ultimo gigante di Plan de Corones autrice del provocatorio riferimento alle «migliori» sul podio. E ieri la «migliore» azzurra, quella che le ha strappato il bronzo, per un gioco del destino è stata proprio Sofia, capace di difendere il vantaggio conquistato nella prima manche e felice di gettarsi dopo il traguardo fra le braccia dell’amica Shiffrin. Alla fine un abbraccio, sincero e conciliante, c’è stato anche con Federica e bisogna soltanto imparare a gestire questa rivalità che finora ha danneggiato psicologicamente proprio chi (la Brignone) in fatto di talento e carattere non è seconda a nessuno. Sarebbe bello se la squadra vedesse questa prima medaglia, accompagnata da un sesto posto (Moelgg), non come un’impresa individuale ma come un successo di squadra perché, tutto sommato, lo sci resta una delle attività di punta dello sport italiano, come risultati e come movimento. Chiudere senza medaglie, com’era successo due anni a Beaver Creek, sarebbe stato un tributo troppo grande alla sfortuna. Ora ci resta qualche piccola speranza di incrementare il bottino nello slalom conclusivo (Moelgg, Gross e Razzoli nell’ordine) di domenica, ma almeno nessuno potrà evocare il Mourinho degli «zero tituli». Il fantasma è stato colpito e affondato.