Alejandro infinito «La professione è la mia passione»
Conquista la Vuelta Andalusia per 1” su Contador e arriva a 100 successi: «Il segreto? Amo il ciclismo»
La prima vittoria era arrivata per un centimetro. Per la centesima è bastato un secondo. Al Giro del Paesi Baschi, il 9 aprile 2003, il tedesco Wegmann alzò le braccia perché credeva che a imporsi fosse stato il compagno Davide Rebellin. Invece il fotofinish disse: Alejandro Valverde. Quasi quattordici anni dopo, lo stesso nome ha partorito la classifica finale della Vuelta Andalusia: Alejandro Valverde. Lo stesso che un paio di anni fa, in una intervista, dichiarò: «Sono io il miglior ciclista spagnolo della mia generazione». E il fatto che ieri, a un secondo, gli sia arrivato quell’Alberto Contador che dall’alto dei 7 grandi giri conquistati potrebbe legittimamente sostenere la stessa idea, rende forse ancora più speciale il traguardo raggiunto da quello che da piccolo chiamavano «el Imbatido», «l’imbattibile». Un traguardo «intermedio», peraltro, non certo finale visto che Valverde — 37 anni da compiere il 25 aprile — ha rinnovato con la Movistar (almeno) fino al 2019…
FAVORE «Per favore, non fatelo correre. Altrimenti i nostri figli non avranno nessuna possibilità di vincere». Raccontano che alle gare giovanili di ciclismo spagnolo i genitori dei «rivali» del piccolo Valverde dicessero spesso così. Perché il murciano di Las Llumbreras, figlio di Juan e Maria, terzo di tre maschi, vinceva praticamente sempre. La serie per la verità non cominciò alla prima gara: a 9 anni, con la maglia della Puente Tocinos a Jumilla, quella la chiuse al secondo posto. Ma alla seconda occasione utile — a Yecla — iniziò a gustare quel sapore unico del trionfo e non ne volle più sapere di smettere. Una «dipendenza» dolcissima. Fino ad arrivare, ieri a Coin, a essere il quarto in attività a tagliare il traguardo dei 100 successi dopo André Greipel, Mark Cavendish e Tom Boonen. Che però nella maggior parte dei casi (specie i primi due) mietono allori in volate di gruppo. Un corridore «centenario» della completezza di Valverde, capace di primeggiare nelle grandi classiche e anche nei grandi giri, non si vedeva dai tempi del francese Laurent Jalabert, che si ritirò nel 2002. E solo un altro spagnolo nella storia — Domingo Perurena — era stato capace di raggiungere (e superare, nel suo caso), quota 100.
PALMARES «Dove trovo la motivazione? E dove pensate che la trovino quelli che a 50 anni salgono ancora in bicicletta? Semplicemente, il ciclismo li incanta. Per me è lo stesso. La mia passione è la mia professione. Mi piace, e farla bene mi motiva. Mi alleno come sempre, o forse come mai prima», ha spiegato di recente Valverde, che «somma» tra l’altro almeno 150 tra secondi e terzi posti. «Non ho mai voluto scegliere tra classiche e grandi giri perché sono diversi ma io vado forte in entrambi». Come dargli torto, in effetti. Una Vuelta (2009, più altre 5 volte nei primi 3), 4 Freccia Vallone, 3 Liegi-Bastogne-Liegi ma anche i podi finali a Tour de France (3° nel 2015) e Giro d’Italia (3° nel 2016) sono le scene principali di un grande film che però — impossibile dimenticarlo — in passato è stato forzatamente interrotto dal conclamato coinvolgimento nell’inchiesta antidoping Operacion Puerto (appellativo in codice Valv-Piti, dal nome del suo cane), scoperto grazie al decisivo intervento del Coni. Diciotto mesi di squalifica, cinque successi cancellati e il rientro a inizio 2012 subito vittorioso. D’altro canto, da pro’ Valverde ha percorso – considerando solo le gare – attorno ai 140.000 chilometri (la circonferenza della Terra ne misura circa 40.000) e i 100 successi sono arrivati in 928 giorni di competizione. Come dire che ha sempre vinto, riuscendo nella difficile arte di mescolare quantità e qualità. Tra i grandi, l’appellativo di
«Imbatido» si è trasformato in «Balaverde». «Bala» significa proiettile, a sottolineare il suo fantastico spunto veloce. Una dote che lo accompagna ancora adesso e l’hashtag che girava ieri sui social era proprio #Bala100.
FINALE Dalla attuale moglie, Natalia, ha avuto due figli, Pablo e Natalia. E sempre due — i gemelli Ivan e Alejandro — ne aveva avuti dalla prima. Adesso ammette «che mi costa di più allontanarmi dagli affetti», ma ce ne vorrà di tempo per vederlo in pantofole a casa. E forse non succederà mai. Intanto in questo 2017 cercherà di firmare l’Amstel Gold Race («Sì, mi manca e mi piacerebbe»), sarà l’aiutante di lusso di Nairo Quintana al Tour de France e affronterà la Vuelta da capitano. Ah, poi domenica 24 settembre a Bergen (Norvegia) ci sarebbe il Mondiale, che Valverde non ha mai vinto pur essendo arrivato 6 (!) volte sul podio. «Certamente l’oro mi manca, ma non voglio che la cosa si trasformi in una ossessione. Se guardo a quello che ho fatto, mi sento già orgoglioso». Sì: l’orgoglio del campione, che però non va confuso con un accenno di appagamento. Sentitelo ieri, appena sceso dal podio: «Non c’è molto tempo per festeggiare perché tra un paio di settimane comincia la Parigi-Nizza e quello è il mio prossimo obiettivo». Quando la tua professione è la tua passione, sei un uomo fortunato. E ragioni esattamente così.