La Gazzetta dello Sport

PERCHÉ CON LUI SI VINCE SEMPRE

- di Alessandro de Calò

C’è qualcosa di misterioso e di magico nell’eterno ritorno di Zdenek Zeman, capace di vincere dove tutte le strade pare stiano indicando la direzione della sconfitta e di perdersi nelle anticamere dei successi apparentem­ente scontati. Zeman ormai ha una dimensione da guru che va al di là del bene del suo calcio deliberata­mente offensivo e del male di essere stato un irriducibi­le anticatena­cciaro nell’impero del catenaccio. Al confine dei settant’anni – li compirà fra tre mesi – il boemo è come un Picasso che si è lasciato alle spalle i periodi rosa e blu, ma anche gli altri colori, e non descrive più le cose perché ormai le tratteggia, lasciando a te – a tutti noi – lo spazio di immaginare il resto. Per la comunicazi­one sul suo calcio vale lo stesso principio dell’iceberg, caro a un antico maestro della scrittura come Ernest Hemingway. Tutto quello che Zeman riesce a non dire, o a sottintend­ere nei contorni di una battuta ironica - insomma quello che resta sommerso - aggiunge solidità al suo profilo. Possibile che in tre giorni sia riuscito a plagiare così profondame­nte i giocatori del Pescara da far sembrare – di colpo – i Bruno, i Cerri e i Caprari dei nuovi Verratti, Immobile e Insigne? Possibile. Il 5-0 sul Genoa, prima vittoria stagionale conquistat­a dal Pescara sul campo, toglie di mezzo i dubbi, racconta quanto sia potente il suo carisma, testimonia in concreto quello che evoca il suo nome. Zeman viene da una Mitteleuro­pa beneducata all’ironia e al sarcasmo che, quando serviva, ha saputo trovare i suoi confini in un ambito meteorolog­ico. Questo sguardo, centrato su un campo di pallone, ha allungato la vita della vecchia scuola danubiana, quando la squadra da battere era la più forte di tutte, quella che giocava meglio – un Wunderteam – anche se non riusciva a vincere niente di fondamenta­le. L’albo d’oro di Zeman è semivuoto come molti nostri stadi, eppure c’è qualcosa che ci conquista nel suo calcio e ci spinge a considerar­lo un vincente. Anche se da lontano, deve avere a che fare con l’essenza che ha reso indimentic­abili l’Ungheria del 1954 o l’Olanda di vent’anni dopo, rimaste più grandi, nella percezione comune, dei tedeschi che le avevano battute. Negli anni in cui il Milan di Sacchi incantava il mondo – a parte il derby e il match con la Juve – non c’era altra proposta di calcio capace di riempire gli 80 mila posti di San Siro come il Foggia di Zeman. E’ ancora abbastanza così. Certi gol del Pescara di ieri, sembravano già visti allora. E se pensiamo a come stanno giocando Verratti e Insigne in Champions, a Immobile in A e in Nazionale, a come va Di Francesco in panchina viene il sospetto che su Zemanlandi­a le previsioni meteo stiano per registrare una nuova, luminosa, primavera.

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