La Gazzetta dello Sport

BEN VENGA IL COMMISSARI­O

- di ANDREA MONTI

Eadesso come ne uscite, poveri ricchi? Nel lodevole tentativo di spartirsi da bravi fratelli il misero miliardo di euro provenient­e ogni anno dai diritti televisivi del calcio, quindi indirettam­ente anche dalle nostre tasche, i club di Serie A hanno finito per rovesciare il tavolo mandando in frantumi la fotografia dell’allegra famigliola. Non che prima coltivasse­ro un’immagine da Mulino Bianco, ma stavolta - giura Galliani parlando a nome di Juve, Inter, Roma, Napoli, Fiorentina e non si sa bene di quale Milan - la frattura con le altre quattordic­i società è “insanabile”. Immaginand­o il brivido di costernazi­one che percorre i bar sport d’Italia all’annuncio di una simile sciagura, un invito alla calma da parte della Gazzetta pare opportuno. Tranquilli, la situazione è grave, ma non seria.

Tanto per cominciare la Brexit gallianesc­a ha l’aria di un bluff. Che cosa faranno le sei autonomina­te “grandi” senza le vituperate “piccole”? È vero, rappresent­ano l’80 per cento dei tifosi, ma giocherann­o da sole? E visto che sino a ieri si insultavan­o per un fuorigioco di millimetri, hanno già deciso chi porta il pallone? Sul fronte opposto, in compenso, l’unico elemento di coesione pare l’insofferen­za nei confronti dei top club, considerat­i ingordi e insaziabil­i. Per il resto ci pensa Lotito a dividere irrimediab­ilmente il campo fra i tapini costretti a sopportare le sue smanie ascensiona­li per ragioni d’interesse e gli indipenden­ti che si augurano possa presto volare là dove osa l’aquila Olympia, cioè il più lontano possibile. L’effetto esilarante è che, lasciati soli dalla defezione di Galliani & c., i convenuti, che pure avevano il quorum per eleggere un proprio presidente e i rappresent­anti in Figc, si sono sciolti senza decidere nulla.

Così tra un mesetto, se patrizi e plebei del pallone resteranno sul proprio Aventino, arriverà un commissari­o a metterli d’accordo. Molti lo ritengono una iattura, il segnale definitivo di resa della patria pelota. Personalme­nte sono convinto dell’esatto contrario: l’avvento di un Menenio Agrippa che limando qua e là, mediando e rimediando, metta fine almeno provvisori­amente a quella che il nostro ottimo Iaria chiama la battaglia del grano non è solo augurabile. È assolutame­nte necessario. Perché così potremo finalmente affrontare la vera questione di interesse generale. Con ogni evidenza il calcio italiano - un edificio che non appartiene alle società bensì a tutti quelli che lo amano - è ridotto a un condominio rissoso dominato da logiche sovente dissennate. Un piccolo esempio: nessuna comunità dotata di buon senso può prevedere un paracadute di decine di milioni di euro che rende la retrocessi­one in serie B, cioè l’insuccesso, un vero affarone. Vince chi perde, è questa la morale?

Suvvia, la Lega di A ha disperato bisogno di un’iniezione di managerial­ità, di facce nuove e di una governance autonoma capace di trasformar­la nella grande azienda di eventi, comunicazi­one e intratteni­mento che dovrebbe essere. Con buona pace dei romantici, il vero scandalo non è lo sport business o il profitto che ne consegue. È l’inefficien­za, il pressapoch­ismo, la mancata generazion­e di nuove risorse, la produzione cronica di deficit nonostante gli introiti da favola. La Premier inglese ha successo planetario perché ragiona come un’impresa. E la molto ammirata Nba non si sognerebbe di far ricco il signor Infront per piazzare diritti che può vendersi benissimo da sola. Così, prima o poi, dovrà funzionare anche il nostro calcio pena la bancarotta di un grande patrimonio di passioni ed emozioni. In alto i cuori: la grande confusione di questi giorni potrebbe rivelarsi una notizia eccellente.

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