BEN VENGA IL COMMISSARIO
Eadesso come ne uscite, poveri ricchi? Nel lodevole tentativo di spartirsi da bravi fratelli il misero miliardo di euro proveniente ogni anno dai diritti televisivi del calcio, quindi indirettamente anche dalle nostre tasche, i club di Serie A hanno finito per rovesciare il tavolo mandando in frantumi la fotografia dell’allegra famigliola. Non che prima coltivassero un’immagine da Mulino Bianco, ma stavolta - giura Galliani parlando a nome di Juve, Inter, Roma, Napoli, Fiorentina e non si sa bene di quale Milan - la frattura con le altre quattordici società è “insanabile”. Immaginando il brivido di costernazione che percorre i bar sport d’Italia all’annuncio di una simile sciagura, un invito alla calma da parte della Gazzetta pare opportuno. Tranquilli, la situazione è grave, ma non seria.
Tanto per cominciare la Brexit gallianesca ha l’aria di un bluff. Che cosa faranno le sei autonominate “grandi” senza le vituperate “piccole”? È vero, rappresentano l’80 per cento dei tifosi, ma giocheranno da sole? E visto che sino a ieri si insultavano per un fuorigioco di millimetri, hanno già deciso chi porta il pallone? Sul fronte opposto, in compenso, l’unico elemento di coesione pare l’insofferenza nei confronti dei top club, considerati ingordi e insaziabili. Per il resto ci pensa Lotito a dividere irrimediabilmente il campo fra i tapini costretti a sopportare le sue smanie ascensionali per ragioni d’interesse e gli indipendenti che si augurano possa presto volare là dove osa l’aquila Olympia, cioè il più lontano possibile. L’effetto esilarante è che, lasciati soli dalla defezione di Galliani & c., i convenuti, che pure avevano il quorum per eleggere un proprio presidente e i rappresentanti in Figc, si sono sciolti senza decidere nulla.
Così tra un mesetto, se patrizi e plebei del pallone resteranno sul proprio Aventino, arriverà un commissario a metterli d’accordo. Molti lo ritengono una iattura, il segnale definitivo di resa della patria pelota. Personalmente sono convinto dell’esatto contrario: l’avvento di un Menenio Agrippa che limando qua e là, mediando e rimediando, metta fine almeno provvisoriamente a quella che il nostro ottimo Iaria chiama la battaglia del grano non è solo augurabile. È assolutamente necessario. Perché così potremo finalmente affrontare la vera questione di interesse generale. Con ogni evidenza il calcio italiano - un edificio che non appartiene alle società bensì a tutti quelli che lo amano - è ridotto a un condominio rissoso dominato da logiche sovente dissennate. Un piccolo esempio: nessuna comunità dotata di buon senso può prevedere un paracadute di decine di milioni di euro che rende la retrocessione in serie B, cioè l’insuccesso, un vero affarone. Vince chi perde, è questa la morale?
Suvvia, la Lega di A ha disperato bisogno di un’iniezione di managerialità, di facce nuove e di una governance autonoma capace di trasformarla nella grande azienda di eventi, comunicazione e intrattenimento che dovrebbe essere. Con buona pace dei romantici, il vero scandalo non è lo sport business o il profitto che ne consegue. È l’inefficienza, il pressapochismo, la mancata generazione di nuove risorse, la produzione cronica di deficit nonostante gli introiti da favola. La Premier inglese ha successo planetario perché ragiona come un’impresa. E la molto ammirata Nba non si sognerebbe di far ricco il signor Infront per piazzare diritti che può vendersi benissimo da sola. Così, prima o poi, dovrà funzionare anche il nostro calcio pena la bancarotta di un grande patrimonio di passioni ed emozioni. In alto i cuori: la grande confusione di questi giorni potrebbe rivelarsi una notizia eccellente.