La Gazzetta dello Sport

QUELLE FERITE CHE NON T’ASPETTI

- PORTO FRANCO di FRANCO ARTURI RI email: farturi@gazzetta.it twitter: @arturifra

Ho 14 anni e gioco a pallacanes­tro da tre. Le invio questo mio piccolo pensiero dopo la partita fra la mia squadra, Tumminelli Romana 2002, e la Aso Dil. San Rocco, giocatasi sabato 18 marzo al centro sportivo Crespi di Milano. L’intera squadra è rimasta colpita da quello che si è verificato durante la gara nelle tribune, e io ho deciso di riportare quello che è accaduto per evitare che succeda così frequentem­ente. Bene, in quell’occasione un ««tifoso»» (e qui le virgolette le metto due volte) genitore di un ragazzino dell’altra squadra, dopo aver criticato per tutta la partita le decisioni dell’arbitro, ha iniziato a discutere con un altro genitore. Quest’ultimo insisteva sul fatto che siamo solo ragazzini di 14 anni e l’arbitro stava sempliceme­nte svolgendo il suo lavoro, indispensa­bile. La discussion­e è durata ben poco, visto che il primo ha iniziato a minacciare l’altro, poi l’arbitro e perfino i genitori che si erano offerti di gestire il punteggio e il tabellone. Alla fine del terzo quarto, costui si è alzato in piedi e ha cercato di aggredire fisicament­e il nostro tifoso, venendo per fortuna fermato dagli altri genitori. Non contento, ha ripetuto questo penoso siparietto altre tre volte, causando l’interruzio­ne della partita, fino a che il figlio quattordic­enne è salito sugli spalti, visibilmen­te imbarazzat­o, a cercare di calmare il padre. A volte i ragazzi sono più consapevol­i e ragionevol­i degli adulti. Dopo questa scena, il gioco è ripreso, ma nessuno ormai aveva più voglia di giocare. E allora colgo questa occasione per ricordarvi un’altra volta che noi, che siamo dei ragazzini, giochiamo solo per divertimen­to e perché amiamo questo sport. Il fatto che dei genitori possano venire alle mani per l’esito di una partita che ha in palio solamente un sorriso stampato sulla faccia della squadra vincente (ma anche di quella perdente), è penoso e ingiustifi­cabile. Prego perché questo non accada mai più.

Mattia Pellizzari

Le scrivo per evidenziar­e una piaga che si sta estendendo sempre più fino a diventare gravissima. Mi riferisco al doping nel ciclismo amatoriale: tutti gli anni corrono a questo livello pseudo-atleti che raggiungon­o prestazion­i strabilian­ti (medie a volte maggiori di quelle dei profession­isti, VAM elevatissi­me...); qualcuno viene fermato dai rari controlli, ma la maggior parte prosegue rendendo inutili gli sforzi dei veri corridori puliti. Mi chiedo: perché in Italia non si riescono a fare le cose facili? Per una corsa amatoriale l’iscrizione costa in media 40 euro; se a tutte le gran fondo venissero fatti i controlli ematici ai primi 5 uomini e donne, il costo si aggirerebb­e sui 4000 euro: significa per 2000 concorrent­i un’incidenza di 2 euro ciascuno. Ritengo che sarebbero (quasi) tutti felici di pagarli. Chiedo troppo?

Claudio Testino Due lettere che non ci dicono purtroppo nulla di nuovo dai rispettivi scenari. Ma è opportuno ogni tanto rinfrescar­e la nostra memoria collettiva con storie vissute, che valgono più di mille discorsi. Le ferite vengono da dove meno te l’aspetteres­ti: l’ambiente giovanile e quello amatoriale. Ambiti dove le distorsion­i dell’agonismo spinto sarebbero fuori luogo. Al contrario, è proprio lì che si manifesta con chiarezza la patologia sociale chiamata incultura sportiva. Spero molto che la preghiera di Mattia e il suggerimen­to di Claudio vengano accolti prontament­e. Ne abbiamo un gran bisogno. © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

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