QUELLE FERITE CHE NON T’ASPETTI
Ho 14 anni e gioco a pallacanestro da tre. Le invio questo mio piccolo pensiero dopo la partita fra la mia squadra, Tumminelli Romana 2002, e la Aso Dil. San Rocco, giocatasi sabato 18 marzo al centro sportivo Crespi di Milano. L’intera squadra è rimasta colpita da quello che si è verificato durante la gara nelle tribune, e io ho deciso di riportare quello che è accaduto per evitare che succeda così frequentemente. Bene, in quell’occasione un ««tifoso»» (e qui le virgolette le metto due volte) genitore di un ragazzino dell’altra squadra, dopo aver criticato per tutta la partita le decisioni dell’arbitro, ha iniziato a discutere con un altro genitore. Quest’ultimo insisteva sul fatto che siamo solo ragazzini di 14 anni e l’arbitro stava semplicemente svolgendo il suo lavoro, indispensabile. La discussione è durata ben poco, visto che il primo ha iniziato a minacciare l’altro, poi l’arbitro e perfino i genitori che si erano offerti di gestire il punteggio e il tabellone. Alla fine del terzo quarto, costui si è alzato in piedi e ha cercato di aggredire fisicamente il nostro tifoso, venendo per fortuna fermato dagli altri genitori. Non contento, ha ripetuto questo penoso siparietto altre tre volte, causando l’interruzione della partita, fino a che il figlio quattordicenne è salito sugli spalti, visibilmente imbarazzato, a cercare di calmare il padre. A volte i ragazzi sono più consapevoli e ragionevoli degli adulti. Dopo questa scena, il gioco è ripreso, ma nessuno ormai aveva più voglia di giocare. E allora colgo questa occasione per ricordarvi un’altra volta che noi, che siamo dei ragazzini, giochiamo solo per divertimento e perché amiamo questo sport. Il fatto che dei genitori possano venire alle mani per l’esito di una partita che ha in palio solamente un sorriso stampato sulla faccia della squadra vincente (ma anche di quella perdente), è penoso e ingiustificabile. Prego perché questo non accada mai più.
Mattia Pellizzari
Le scrivo per evidenziare una piaga che si sta estendendo sempre più fino a diventare gravissima. Mi riferisco al doping nel ciclismo amatoriale: tutti gli anni corrono a questo livello pseudo-atleti che raggiungono prestazioni strabilianti (medie a volte maggiori di quelle dei professionisti, VAM elevatissime...); qualcuno viene fermato dai rari controlli, ma la maggior parte prosegue rendendo inutili gli sforzi dei veri corridori puliti. Mi chiedo: perché in Italia non si riescono a fare le cose facili? Per una corsa amatoriale l’iscrizione costa in media 40 euro; se a tutte le gran fondo venissero fatti i controlli ematici ai primi 5 uomini e donne, il costo si aggirerebbe sui 4000 euro: significa per 2000 concorrenti un’incidenza di 2 euro ciascuno. Ritengo che sarebbero (quasi) tutti felici di pagarli. Chiedo troppo?
Claudio Testino Due lettere che non ci dicono purtroppo nulla di nuovo dai rispettivi scenari. Ma è opportuno ogni tanto rinfrescare la nostra memoria collettiva con storie vissute, che valgono più di mille discorsi. Le ferite vengono da dove meno te l’aspetteresti: l’ambiente giovanile e quello amatoriale. Ambiti dove le distorsioni dell’agonismo spinto sarebbero fuori luogo. Al contrario, è proprio lì che si manifesta con chiarezza la patologia sociale chiamata incultura sportiva. Spero molto che la preghiera di Mattia e il suggerimento di Claudio vengano accolti prontamente. Ne abbiamo un gran bisogno. © RIPRODUZIONE RISERVATA