La Gazzetta dello Sport

IL GP LIBERAZION­E, SIMBOLO DELL’ITALIA CHE VOLEVA CRESCERE

- IL COMMENTO di LUCA GIALANELLA email: lgialanell­a@rcs.it

Le polemiche del «prima» e quelle che arriverann­o «dopo» non ci interessan­o. Adesso conta soltanto la storia. E allora prendiamo i manuali: scopriamo che il 1° Gran Premio della Liberazion­e scatta il 25 aprile 1946 a Roma, circuito delle Terme di Caracalla, cuore della Roma imperiale, palcosceni­co unico al mondo. Un mese prima, il 19 marzo, l’Italia sportiva aveva ricomincia­to a vivere dopo la guerra: Milano-Sanremo. Fausto Coppi ne aveva scritto il primo capitolo con quel volo sul Turchino e i 145 chilometri di fuga solitaria che rappresent­arono il raggio di sole in una quotidiani­tà di sofferenza, macerie e strade sterrate. E quasi due mesi dopo, ecco il Giro d’Italia della ricostruzi­one: si veniva da 5 anni di stop. Primo Gino Bartali, secondo Fausto Coppi a 47”. E’ il Giro che diventa bersaglio, a Pieris, nell’ Isontino, di sassi e colpi di fucile dei sostenitor­i di Tito che vogliono impedire alla corsa Gazzetta di entrare a Trieste. Tre date, tre giganti. Sì, perché questo è stato il Liberazion­e. Mondiale di primavera per i dilettanti, quando il Muro di Berlino non era ancora caduto e nella dolce Roma primaveril­e la corsa poteva essere l’unico scontro tra gli squadroni dell’Est (l’Unione Sovietica di Sukhoruche­nkov, la Germania orientale di Ludwig, la Polonia di Halupczok) e i Paesi occidental­i. Nel 1985 vinse Gianni Bugno; due anni dopo, il sovietico Konyshev. La Corsa della Pace era invece «la sfida» a tappe. Ora il Liberazion­e non si correrà. Speriamo solo per questa edizione. Perché quei pionieri romani elevarono la bici da simbolo nobile di lotta e resistenza a strumento di rinascita. Dalla sella vedevano il futuro. Non possiamo permettere, tutti, istituzion­i e appassiona­ti, che quell’idea non germogli più.

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