La Gazzetta dello Sport

LA VELA AUTENTICA PER DIMENTICAR­E

- di FRANCO ARTURI URI email: farturi@gazzetta.a.it twitter: @arturifra Giulio Comboni

I miei figli non hanno seguito la mia passione, la vela, e si sono dati al canottaggi­o. Sport durissimo. Avrei tanto voluto poter trasmetter­e loro tutto il mio entusiasmo e la mia e conoscenza, ma non è andata così. Oggi hanno 26 e 30 anni, non fanno più agonismo, ma hanno una solida forma mentale acquisita in gioventù. A questo serve lo sport , a tutti quelli che lo praticano, sia a chi vince sia a chi ci prova senza riuscirci. Per questo mi è molto spiaciuto l’altro giorno leggere su Porto Franco una lettera che cominciava con «ho avuto la sfortuna di avere due figlie appassiona­te di vela». Mi viene da rivolgermi direttamen­te alla mamma che vi ha scritto. Forse, Barbara, hai avuto la sfortuna a capitare in una squadra mal gestita. Conosco Fabrizio Lazzerini, che citi come nuovo istruttore della tua maggiore: bello che tua figlia si trovi bene con lui a Torbole. Noi allenatori facciamo degli errori, i tecnici giovani ne commettono di più. Voi genitori avete un compito difficile quanto il nostro ma diverso: accompagna­re vigilando senza essere invasivi. Ma ora tu Barbara mi dirai: cosa vuole questo qui alla fine? Solo esprimere solidariet­à a te e alla tua famiglia. E dirti che se le ragazze vogliono provare il «29er», vengano a cercarci. Per me la cosa più importante è «enjoy your sailing» . Con questo stile tutti arrivano in alto, chi prima chi dopo. Senza parolacce, bestemmie, bugie.

La ringrazio per il suo intervento, seguito alla lettera-denuncia di una madre per episodi di varia inciviltà in cui sono incappati sua figlia e altri bambini in un noto circolo trentino: il tribunale sportivo si pronuncerà a breve. Ieri Gianluca Pasini è tornato sui fatti con un’ampia inchiesta. Le sue parole mi offrono l’opportunit­à di scrivere ogni bene possibile di uno sport che tutti dovrebbero amare e si collega direttamen­te sia al nostro passato di navigatori sia al nostro futuro di conservato­ri dell’ambiente. Chiunque sostenga e capisca il contrario, è del tutto fuori strada.

Vorrei uscire dall’ambito velistico perché il tema sotteso a quella drammatica denuncia è comune ad ogni disciplina sportiva. Parlo dell’approccio comportame­ntale degli istruttori-allenatori a bambini e ragazzini. Evidenteme­nte si tratta di un tema caldo, che la sensibilit­à di diversi lettori ha posto all’attenzione di Porto Franco. Ricorderet­e forse la lettera apripista di una buona pallavolis­ta italiana che ora gioca negli Usa a Santa Barbara: la ragazza si chiedeva se l’eccessiva aggressivi­tà verbale di molti allenatori e una conduzione “infernale” del lavoro, con punizioni e urla, non giungesser­o alla fine al risultato opposto a quello desiderato, cioè a scoraggiar­e e deprimere i talenti.

La discussion­e è aperta e la mia esperienza in materia mi suggerisce che c’è molto da approfondi­re e da lavorare su questo versante. Per l’intero sport italiano. E’ evidente che molto spesso i minisporti­vi finiscono sotto le cure di allenatori alle prime armi, sprovvisti di un bagaglio relazional­e adeguato. Non vorrei che mi si fraintende­sse: a questo livello operano centinaia di migliaia di tecnici guidati da passione, competenza e buon senso. Ma fra loro ce ne sono alcuni che adoperano approcci inopportun­i, che potrebbero arrecare danno non solo ad una carriera sportiva, ma a una crescita umana. Penso che i vari «patentini» per il titolo di istruttori debbano comprender­e una certificaz­ione eticocompo­rtamentale. E i genitori, ha ragione il signor Comboni, devono stare con gli occhi aperti.

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