LA VELA AUTENTICA PER DIMENTICARE
I miei figli non hanno seguito la mia passione, la vela, e si sono dati al canottaggio. Sport durissimo. Avrei tanto voluto poter trasmettere loro tutto il mio entusiasmo e la mia e conoscenza, ma non è andata così. Oggi hanno 26 e 30 anni, non fanno più agonismo, ma hanno una solida forma mentale acquisita in gioventù. A questo serve lo sport , a tutti quelli che lo praticano, sia a chi vince sia a chi ci prova senza riuscirci. Per questo mi è molto spiaciuto l’altro giorno leggere su Porto Franco una lettera che cominciava con «ho avuto la sfortuna di avere due figlie appassionate di vela». Mi viene da rivolgermi direttamente alla mamma che vi ha scritto. Forse, Barbara, hai avuto la sfortuna a capitare in una squadra mal gestita. Conosco Fabrizio Lazzerini, che citi come nuovo istruttore della tua maggiore: bello che tua figlia si trovi bene con lui a Torbole. Noi allenatori facciamo degli errori, i tecnici giovani ne commettono di più. Voi genitori avete un compito difficile quanto il nostro ma diverso: accompagnare vigilando senza essere invasivi. Ma ora tu Barbara mi dirai: cosa vuole questo qui alla fine? Solo esprimere solidarietà a te e alla tua famiglia. E dirti che se le ragazze vogliono provare il «29er», vengano a cercarci. Per me la cosa più importante è «enjoy your sailing» . Con questo stile tutti arrivano in alto, chi prima chi dopo. Senza parolacce, bestemmie, bugie.
La ringrazio per il suo intervento, seguito alla lettera-denuncia di una madre per episodi di varia inciviltà in cui sono incappati sua figlia e altri bambini in un noto circolo trentino: il tribunale sportivo si pronuncerà a breve. Ieri Gianluca Pasini è tornato sui fatti con un’ampia inchiesta. Le sue parole mi offrono l’opportunità di scrivere ogni bene possibile di uno sport che tutti dovrebbero amare e si collega direttamente sia al nostro passato di navigatori sia al nostro futuro di conservatori dell’ambiente. Chiunque sostenga e capisca il contrario, è del tutto fuori strada.
Vorrei uscire dall’ambito velistico perché il tema sotteso a quella drammatica denuncia è comune ad ogni disciplina sportiva. Parlo dell’approccio comportamentale degli istruttori-allenatori a bambini e ragazzini. Evidentemente si tratta di un tema caldo, che la sensibilità di diversi lettori ha posto all’attenzione di Porto Franco. Ricorderete forse la lettera apripista di una buona pallavolista italiana che ora gioca negli Usa a Santa Barbara: la ragazza si chiedeva se l’eccessiva aggressività verbale di molti allenatori e una conduzione “infernale” del lavoro, con punizioni e urla, non giungessero alla fine al risultato opposto a quello desiderato, cioè a scoraggiare e deprimere i talenti.
La discussione è aperta e la mia esperienza in materia mi suggerisce che c’è molto da approfondire e da lavorare su questo versante. Per l’intero sport italiano. E’ evidente che molto spesso i minisportivi finiscono sotto le cure di allenatori alle prime armi, sprovvisti di un bagaglio relazionale adeguato. Non vorrei che mi si fraintendesse: a questo livello operano centinaia di migliaia di tecnici guidati da passione, competenza e buon senso. Ma fra loro ce ne sono alcuni che adoperano approcci inopportuni, che potrebbero arrecare danno non solo ad una carriera sportiva, ma a una crescita umana. Penso che i vari «patentini» per il titolo di istruttori debbano comprendere una certificazione eticocomportamentale. E i genitori, ha ragione il signor Comboni, devono stare con gli occhi aperti.