La Gazzetta dello Sport

«SOGNO MILANO CON I PALLONI PER STRADA E LA CANTERA»

- di ALESSANDRA BOCCI MILANO

APPOGGIO IL PROGETTO DI SALA DI UN SAN SIRO PER DUE SU GIUSEPPE SALA SINDACO DI MILANO AL MILAN HO SEMPRE INVIDIATO UN DIRIGENTE COME GALLIANI SU ADRIANO GALLIANI DIRIGENTE DEL MILAN

Ampiezza, densità, verticaliz­zazione. Parole che volano nel mondo del pallone e che l’architetto Stefano Boeri può interpreta­re con una certa competenza. Vorrebbe ampliare la percezione del calcio, farlo vivere e giocare ovunque almeno per pochi giorni l’anno. Rendere più densa la ricerca dei talenti creando un canterone con Inter e Milan a dare supporto a tante piccole società. Quanto al verticaliz­zare, l’ha già fatto bene con il Bosco Verticale. «Che cosa mi ha ispirato? Ero a Dubai e vedevo grattaciel­i di vetro, materiale fantastico ma complicato. E poi io sono amico di Adriano Celentano. L’albero di trenta piani, ha presente?». Stefano Boeri, milanese, è nato in una famiglia intermilan­ista. «Il tifo interista viene da mio padre. Erano 5 fratelli e la loro babysitter era la fidanzata di Benito Lorenzi. Forse per reazione i miei fratelli Tito e Sandro sono diventati milanisti come i loro figli. Sono milanisti malati, e sono malato anch’io con una specie di per- versione».

E si può confessare?

«E’ strana ma non indicibile: mi è sempre piaciuto mimetizzar­mi e vedere le partite nella curva milanista. Soffro, ma è bellissimo. Però mi scoccia che il mio amico Fabio Novembre negli ultimi due anni mi abbia invitato al derby a casa Milan nella zona vip. Berlusconi, Salvini: una volta abbiamo perso 3-0, da sentirsi male. E poi guardi, io e i miei figli avevamo un posto in zona palchi anche al Bernabeu per la finale di Champions e siamo scesi altrove. Profession­almente non ho nulla contro gli Sky box, da un punto di vista commercial­e sono utili. Ma non fanno parte del mio modo di vivere il calcio».

Il suo modello?

«Inglese, perché tutto è nato in Inghilterr­a. Trovo che sia sbagliato portare in Italia i modi dello sport americano. Questi stadi dove ci si alza per mangiare, per bere, per comprare i pop corn. Il calcio è una liturgia».

Come rifarebbe lo stadio alle due milanesi?

«All’Inter ho già ristruttur­ato gli spogliatoi e quelli nuovi avevano portato fortuna, poi han- no cambiato e siamo scesi giù... Scherzi a parte, appoggio il progetto del sindaco Sala di un San Siro per due, con il coinvolgim­ento dell’Ippodromo. Gli stadi fuori città con centri commercial­i non mi piacciono».

Il suo primo derby?

«Non me lo ricordo. Mi ricordo le partite invernali alle tre del pomeriggio, ero alle scuole medie e uscivamo in fretta per andare alla coppa delle Fiere. Freddo, nebbia. Tutte quelle cose che non ci sono più».

Architetto visionario e tifoso nostalgico.

«Essere moderni non significa dimenticar­e. Sono cresciuto nel mito di Riva, ho amato Ronaldo e Ibra. Su di lui ho scritto anche un piccolo saggio che non ho pubblicato. Ronaldo era l’eleganza legata alla potenza e alla perfezione tecnica. Ibra un alieno. Viene dal calcio del 2100 e gioca con gente che pratica un altro sport, il che può anche rappresent­are uno svantaggio».

Ha fischiato Ronaldo milanista?

«No ma ho sofferto molto. Vederlo segnare all’Inter è stato traumatico. Un breve momento incestuoso».

Che cosa pensa delle nuove proprietà cinesi di Inter e Milan?

«Non ho mai incontrato Zhang, ma stiamo costruendo delle torri di Bosco Verticale a Nanchino e nei miei viaggi in Cina ho visitato i loro uffici. Hanno

un’attenzione particolar­e al tempo libero dei dipendenti, seguono un modello molto moderno, stile Apple. Questo mi fa ben sperare».

E i cinesi del Milan?

«Non so chi siano. So che Galliani si è caricato tutto sulle spalle e senza di lui il Milan si sarebbe sfracellat­o tempo fa. Ho sempre ammirato e invidiato il Milan per la presenza di un dirigente come Galliani».

Cosa significa essere interista?

«Sono iscritto al gruppo degli interisti leninisti. Essere interista è essere ironico. L’ironia, il culto del paradosso sono caratteris­tiche dei milanesi. Milano è la culla di una comicità particolar­e, che ha radici intrecciat­e con il calcio, come la musica. Penso a Jannacci, ma anche a Aldo, Giovanni e Giacomo. C’è un filone che non si estingue. Perché Milano diventi la città stato della quale si parla, bisogna tener conto del calcio e mi pare che il sindaco Sala capisca bene il valore di questo argomento. Non esistono altre città in Europa con due grandi squadre che hanno un palmares dello stesso valore. È perciò che ho un paio di progetti in mente».

Ce li spieghi.

« Primo, Calcio City. Come Book City, o Piano City, che ho inventato quando ero assessore. Vorrei vedere per qualche giorno all’anno giocare a calcio dappertutt­o, sui sagrati, nelle piazze. Ho imparato a giocare sul sagrato di Sant’Ambrogio e credo che far vivere il calcio anche alla parte di città che magari se ne occupa poco sia importante. E poi sogno un supervivai­o sotto il marchio di Inter e Milan, con le altre società giovanili valorizzat­e. Solo Milano può farlo».

Non è che poi Milan e Inter litighereb­bero per i talenti?

«Sto parlando di avviamento al calcio, non di squadre Primavera. Milano sa essere generosa e innovativa. Se una cosa del genere non la fa Milano, non la può fare nessuno».

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