Trump si è convinto che tagliando le tasse lo Stato ci guadagna?
Vuol ridurre le imposte sulle imprese al 15%: crede che così ci saranno più soldi in giro, più consumi e il Pil salirà
Trump proporrà al Congresso di abbassare le tasse sulle imprese dall’attuale 38,91% al 15 secco. A questo provvedimento dovrebbe seguire anche un abbassamento delle tasse alle persone fisiche. Dal 39,6% al 33%, come Donald aveva promesso in campagna elettorale.
1 Tagliare le tasse, di cui in Italia si discute da un quarto di secolo, è così semplice? Uno arriva e... zac!
Chi sa. Bisogna che il Congresso approvi, e non è detto. E bisogna che la scommessa implicita in questa decisione sia vinta, e anche questo secondo molti è impossibile.
2 Che scommessa?
La scommessa è questa: se io abbasso le tasse sulle imprese, le imprese non avranno più vincoli ad assumere e pagare buoni stipendi e la smetteranno oltre tutto di scervellarsi per trovare scappatoie nei paradisi fiscali. Quindi, secondo Trump, in tre-quattro anni i soldi che lo Stato non incasserà più ritorneranno per altra via: meno evasione, forte stimolo alla domanda interna, cioè gli americani trovandosi in tasca più soldi spenderanno e alimenteranno i consumi che ancora oggi determinano i due terzi del Pil Usa, e quindi ciò che apparentemente e in un primo tempo si perderà da una parte si recupererà dall’altra. Il Paese intanto sarà cresciuto e sarà più ricco, e lo stesso Trump, ripresentandosi alle elezioni del 2020, sarà rieletto trionfalmente. Il segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, ha detto: «È il più grande taglio delle tasse e la più ampia riforma fiscale della storia degli Stati Uniti. Il presidente e io pensiamo fermamente che l’economia Usa raggiungerà un livello di crescita duraturo del 3%. Si tratta di un obiettivo realizzabile e la riforma fiscale è uno degli elementi fondamentali insieme alla riforma delle regolamentazioni finanziarie». Gary Cohn, nella conferenza di presentazione di ieri sera: «Negli ultimi 25 anni, altri paesi hanno fortemente tagliato le aliquote fiscali alle aziende per attirare gli imprenditori. Questa riforma era necessaria da molto tempo».
3 Non può essere così facile. Ho imparato che soluzioni facili a problemi difficili sono in genere sbagliate.
Nel 2018 l’erario degli Stati Uniti dovrebbe incassare dalla corporate tax 492 miliardi di dollari. Entrando in funzione la riforma di Trump (che scatterebbe, appunto, nel 2018) lo Stato perderà 212 miliardi. Il deficit di bilancio previsto per il 2018 è di 930 miliardi, il 4,6% del Pil. Secondo il Fondo monetario gli Stati Uniti cresceranno nel 2017 del 2,3%. Supponendo che nel 2018 si vada al 3%, sarà sufficiente un incremento del Pil dello 0,7% per compensare i 212 miliardi perduti? Aggiungo questa considerazione: è certo che l’imprenditore, trovandosi in tasca più denaro, aumenterà gli stipendi o assumerà? Forse gli imprenditori lo faranno solo in parte (e magari in minima parte) e i soldi in più se li terranno in tasca.
4 Sarebbe stato meglio tagliare direttamente le tasse ai cittadini?
Questo è in programma. Fino a 24 mila dollari di reddito annuo non si pagherebbe niente, poi si stabilirebbero tre fasce, a seconda del reddito: 10%, 25%, 35%. Arthur Laffer però ha detto ieri che è giusto privilegiare le imprese. «Ridurre le imposte ad una persona che guadagna mille dollari al mese non serve molto; invece aiutare le aziende a creare posti di lavoro che pagano tre volte tanto cambia la vita » . Un’altra volta questo economista assai controverso s’è espresso così: «Chi lavora e produce non lo fa per pagare le tasse allo Stato ma per creare un futuro migliore per i propri figli: non ha senso tassare chi produce e pagare chi non lavora. Questo meccanismo è perverso e genera solo stimoli negativi per la crescita. La spesa pubblica è tassazione: lo stato non può spendere se non incassa». Citiamo Laffer perché fu lui a consigliare a Rumsfeld e Cheney, consiglieri di Gerald Ford (1974-1977), il taglio delle tasse poi realizzato da Reagan. Laffer disegnò su un tovagliolo di carta del ristorante Two
Continents di Washington una curva a campana che mostrava l’incremento della pressione fiscale: da un certo momento in poi un aumento delle tasse provocava una discesa delle entrate, perché il cittadino preferiva correre il rischio ed evadere.
5 Con Reagan funzionò?
Sì, ma provocando l’esplosione del debito che gli Stati Uniti si portano ancora appresso. Oggi quasi 20 mila miliardi, il 106% del Pil. Paul Krugman, economista liberal, non è d’accordo né con Trump né con le teorie di Laffer, che Bush padre aveva soprannominato « voodoo economics » ( in quel momento contendeva la nomination a Reagan, di cui poi divenne vicepresidente). «Quella di Trump è una nuova versione della voodoo economics, e anche questa volta fallirà», ha detto Krugman.