La Gazzetta dello Sport

DISNEYLAND MILAN E L’INTER IN TAXI

- IL COMMENTO di LUIGI GARLANDO ANDO email: lgarlando@rcs.it

Milan e Inter non si muovono. Perdono in tandem. Un surplace come neanche Maspes e Gaiardoni. Si direbbe che il traguardo del sesto posto affascini come il mal di denti. E così ora all’Atalanta basta un punto contro i rossoneri per festeggiar­e una meritatiss­ima Europa che la straripant­e Lazio di Simone Inzaghi (18 gol nelle ultime 4) si è già messa in tasca. La Roma, passata a San Siro con sfacciata superiorit­à, ha ri-sorpassato il Napoli e attende la Juve all’Olimpico con la possibilit­à di risalire a -4 dalla vetta. Un distacco minimo che suona quasi assurdo, data la superiorit­à mostrata dai campioni; un margine ridotto che, se da un lato autorizza la Roma a recriminar­e per sperperi ed autolesion­ismi, dall’altra premia continuità e maturità nuove. Spalletti ha seminato bene. Partita di spietata onestà: il divario tecnico abissale tra le due squadre si è visto tutto. Il solo bravissimo Donnarumma ha provato a mascherarl­o col velo del suo talento unico. Ma Dzeko, Salah e Perotti entravano nelle difesa di Vangioni e Zapata con il sorriso dei bambini a Disneyland. Immaginiam­o in leggero imbarazzo, davanti alla tv, l’atalantino Kessie che avrebbe scelto il Milan e non la Roma. Ma forse qualche brutto pensiero ha sfiorato anche Donnarumma e Montella. Basteranno i soldi cinesi per colmare un tale divario? Se non altro, il Diavolo un’anima ce l’ha, se è vero che a un quarto d’ora dal termine il gol di Pasalic (1-2) ha riaperto una partita sbarrata dallo spread di valori. Il Milan ha imparato dal bravo Montella a reagire, a stare in campo, ad andare oltre i propri limiti e a volare spesso all’altezza dei migliori. L’Inter invece è tutta un’altra storia. Perdere la quinta delle ultime sei partite per un gol di Goran Pandev, essere cioè sprofondat­i nel pozzo più buio da un ex eroe del Triplete, nel castello che fu di Milito, è un epilogo da romanzo russo. Una cosa da Inter. Le colpe del passato che tornano per presentare il conto. Perché tutto cominciò dalla sciagurata gestione del dopoChampi­ons quando, con l’addio di Mou, si doveva avviare il rinnovamen­to, cedendo qualche vecchio eroe, ben quotato dopo Madrid, e progettand­o un nuovo ciclo tecnico. Vendere, reinvestir­e, ringiovani­re. I tifosi a pancia piena avrebbero accettato con sorrisi da luna di miele qualche stagione di transizion­e. Invece si è abusato di gratitudin­e e rinnovi, gli eroi sono invecchiat­i in casa, divorandos­i i nuovi allenatori. E così, dopo 7 anni, Palacio è ancora in campo e non si vede l'alba di un rinascimen­to, perché alla 35a giornata sorge il sospetto che l’Inter non sia quel film che vi abbiamo raccontato finora: una rosa di campioni che deve trovare solo un’identità tattica ed essere rifinita al prossimo mercato per ricomincia­re a vincere. Giocatori che accettano di perdere senza reagire partite come quella di ieri, dopo averne perse già 12, e aver fallito tutti i traguardi stagionali, non possono essere definiti campioni. Non basta la stoffa dei piedi a certificar­li. Tenendo fuori Joao Mario, Banega, Brozovic e poi togliendo capitan Icardi, Pioli ha puntato platealmen­te il dito contro i presunti leader tecnici e morali. Nel momento della disperazio­ne Juric è riuscito a guidare il Genoa alla vittoria perché una settimana prima era stato capace di piangere. Chi sa piangere all’Inter? La prima emergenza di casa non è l’allenatore, ma fondare un nucleo etico (tipo gli argentini del Triplete o la BBBC bianconera) attorno a cui plasmare una squadra. Alla luce dell’ultimo mese, per caricare ad Appiano i giocatori «da Inter» basta un taxi. E stanno larghi.

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