La Gazzetta dello Sport

STECK ERA VELOCISSIM­O MA NON SOGNAVA A CRONOMETRO

- L’AVVENTUROS­O di REINHOLD MESSNER

Probabilme­nte, nel momento in cui leggerete queste righe dall’Everest staranno arrivando notizie delle prime salite della stagione. Gli sherpa hanno completato il loro duro lavoro piazzando corde fisse e scalette fino in vetta e le centinaia di clienti delle spedizioni commercial­i si sono lanciati verso la meta agognata. Dimenticat­e subito le morti dell’86enne nepalese Min Bahadur Sherchan, che voleva riprenders­i il record del più anziano sul Tetto del mondo, e quella assai meno prevedibil­e di Ueli Steck.

Mi ha fatto molto piacere sapere che il fortissimo svizzero è stato ricordato al Trento Film Festival nella serata intitolata «Metanoia». Ho letto le belle parole che Jeff Lowe gli ha dedicato nel suo profondo messaggio. Lo statuniten­se, ora affetto da una malattia neuro degenerati­va, ha ricordato i suoi incontri con Steck, che sul palco è stato raccontato dal connaziona­le Stephan Siegrist. Il quale ha fatto varie salite con Steck, compresa la ripetizion­e della via Heckmair sulla Nord dell’Eiger nella quale batterono il «record» di una cordata. Lo avevo stabilito insieme a Peter Habeler 30 anni prima. Ho scritto record fra virgolette perché noi non partimmo certo con l’intenzione di guardare il cronometro. La velocità ci servì solo per uscire il prima possibile dai pericoli di quella parete. Ora Steck era senza alcun dubbio l’alpinista più veloce. Ma anche lui non sognava a cronometro. All’Everest non voleva fare record, ma tentare una grande sfida. Forse perfino più grande di quella annunciata, cioè la traversata Everest-Lhotse senza bombole. Di certo, quando è caduto sul Nuptse aveva già salito almeno 1200 metri, fra quota 6400 e 7600, in meno di 4 ore ed era a 300 metri dalla vetta.

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