La Gazzetta dello Sport

«Gli insegnamen­ti di Conte alla Juve E questa terra che mi dà felicità»

Lo scudetto a Napoli nel 1990, la promozione a Benevento: «Col presidente dobbiamo discutere Contento di rimanere, se sentirò mio il progetto»

- Nicola Binda INVIATO A BENEVENTO

Il telefono di Marco Baroni esplode tra chiamate e messaggi. Quelli dei tifosi conservano i selfie con lui dopo la promozione. Il Benevento è in Serie A e lui ce l’ha portato. Questo affetto gli fa ricordare quello di Napoli, dove da stopper di Diego Maradona vinse lo scudetto del 1990.

La Campania le porta bene...

«Da neopromoss­a dovevamo solo salvarci e programmar­e. Invece siamo saliti in A e penso che questa terra mi abbia dato le soddisfazi­oni più grandi».

Un cammino strano: un’andata ottima, un marzo da incubo e poi i playoff di slancio.

«La gestione dei momenti negativi fa la differenza. Lo dicevo ai ragazzi, ho lavorato molto sui dati in mio possesso: abbiamo perso partite giocando bene, quindi non vedevo crisi d’identità o difficoltà fisica. Vedi Cesena: uno dei primi tempi più belli, poi abbiamo perso 4-0. Ho detto: o ci disintegri­amo o ci rafforziam­o. Mancavano nove gare, non abbiamo più perso».

Lei è un tecnico esperto, ma la società era al debutto in B.

«C’era entusiasmo, la società si è strutturat­a cammin facendo e molto vuole fare. Non partire con l’obbligo di vincere, come aveva in Lega Pro, ha aiutato. Io però sono ambizioso e ho trasferito questo sentimento alla squadra. Come i playoff: si giocano per vincere».

Parliamo dei «dati in suo possesso»: lei è molto attento alle statistich­e.

«Le cito alcuni indicatori di gioco: siamo stati i primi per tiri verso la porta e nello specchio, per supremazia territoria­le, per tempo effettivo di gioco e per avversari messi in fuorigioco; secondi per azioni offensive, per possesso palla, per numero medio di passaggi riusciti, per numero di dribbling riusciti e per numero di cross. E sesta miglior difesa, ma saremmo stati la migliore per gol subiti su azione: sui calci piazzati la fisicità ci è costata qualche gol».

Il calcio quanto è scienza?

«Il numero è un indicatore del lavoro e va incrociato con il risultato».

È l’allenatore da più tempo in B: 4 campionati di fila tra Lanciano, Pescara, Novara e Benevento. Un anno e via, anche con qualche

ALLENATORE DEL BENEVENTO

polemica. Un caso o una scelta?

«Prima della B ho fatto la Lega Pro, la Primavera al Siena e alla Juve: il primo trofeo di Andrea Agnelli è stato il nostro torneo di Viareggio e lui me l’ha ricordato. Ogni cambio ha la sua storia. Fosse per me, metterei le radici per dare continuità».

Può esser così a Benevento?

«Mi piacerebbe: ne discuterem­o».

Com’è il rapporto con il presidente Vigorito?

«Il giorno che ci siamo conosciuti io avevo una maglietta rossa e lui una camicia gialla: era segno del destino. Anche nei momenti difficili non ci ha fatto mancare il sostegno».

Non aspira ad allenare in A?

«Direi di sì, ci sono entrato dalla porta principale».

Ma di panchine libere non ce ne sono più (salvo colpi di scena), a parte il Benevento...

«Sì ma se rimango non è perché non ho altra scelta: ci deve essere un progetto che io sento».

Ha avuto proposte?

« Fino alla fine dei playoff non ho voluto parlare con nessuno, ma il Benevento ha la priorità».

Quale può essere la forza del Benevento per fare la A?

«Ha un presidente forte che può sedersi al tavolo dei grandi senza remore. E ha uno stadio che con 18mila spettatori può essere un punto di forza».

Nei due anni alla Juve ha lavorato con Conte: quanto è servito?

«Tantissimo. Sono diventato più martello: il tempo della gio- ia dura poco, dopo 5’ pensi già a come vincere la prossima partita. Mi ha telefonato per farmi i compliment­i: mi ha fatto piacere, così come le chiamate di Marotta e Paratici».

Ci sono ex calciatori che per allenare fanno la gavetta, altri che si ritrovano subito in A.

«Io credo nella meritocraz­ia, le cose me le devo conquistar­e».

Come il suo amico Leo Semplici.

«Siamo di Tavarnuzze, vicino a Impruneta. Ci conosciamo da ragazzi, le nostre famiglie si conoscono, i figli sono andati a scuola insieme, abbiamo giocato insieme nella Rondinella e quest’anno abbiamo fatto un miracolo: ci ritroverem­o per brindare».

Magari suo figlio Riccardo completa la festa...

«Gioca nella Fiorentina, domenica ha la finale Primavera con l’Inter. Le dico questa: mio padre preferisce vedere le sue partite e non le mie. Intanto io ho vinto, ora tocca a lui!». Cresciuto nelle giovanili della Fiorentina, con cui ha debuttato in Serie A nel 1982, da giocatore ha girato parecchie squadre. I risultati migliori li ha ottenuti a Napoli, dove è stato dal 1989 al 1991 e dove ha vinto un campionato (1989-1990) e una Supercoppa italiana (1990).

Comincia la sua carriera da tecnico nella Rondinella in C2 nel 2000-2001. Poi, sempre in C2, allena Montevarch­i, Carrarese e Südtirol. Poi passa all’Ancona in C1 e successiva­mente alla Primavera del Siena, squadra che allenerà in A per sole tre partite nel 2009, quando sostituisc­e Giampaolo prima di essere a sua volta esonerato. Poi va alla Cremonese in Prima divisione e alla Juve Primavera (vincerà il Viareggio). In seguito le avventure in B con Lanciano, Pescara, Novara e Benevento.

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GETTY Marco Baroni, 53 anni, portato in trionfo dai giocatori del Benevento dopo la promozione in A

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