La sciabola è d’argento All’Europeo di scherma è Italia record: 11 podi
Ti piace vincere facile? Scegliti un modello. Può essere nostro padre, nostro fratello o il maestro delle elementari, ma avere un punto di riferimento a cui conformarsi è il modo migliore per crescere. Gira e rigira il modello da cui tutto lo sport italiano dovrebbe prendere esempio è sempre lo stesso: la scherma. Sarà un caso, ma gli insegnamenti che arrivano dall’Italia delle pedane hanno sempre qualcosa di speciale, quasi di proverbiale. Non bastava essere la nazione numero 1 al mondo: lo squadrone che ancora oggi guida il medagliere olimpico con 49 ori, 43 argenti e 33 bronzi (125 medaglie totali contro le 118 della Francia), quasi per dimostrare la sua versatilità, ha provato a cambiare pelle. Il padre di famiglia che non sbagliava mai una mossa si è spogliato della perfezione assoluta e ci ha insegnato come ci si rialza da una piccola caduta.
Per carità, non si può dire che quella di Rio sia stata una vera e propria debacle, ma forse soltanto una prova di ricambio, un test per mostrare la capacità di reazione. Dal Brasile eravamo tornati con il peggior bottino dal ‘96 in poi: un solo oro (Daniele Garozzo nel fioretto) e altri tre podi ben lontani dalla media di 3 ori e 7 podi ottenuti dai Giochi di Atene 1896 in poi. Non proprio un campanello d’allarme, ma un piccolo punto interrogativo sul futuro visto il cambio generazionale in atto. Che cosa dovevamo aspettarci nel passaggio dall’Italia della «Tigre» Vezzali, ritirata alla vigilia di Rio, a quella dei più compassati fratelli Garozzo? Ebbene, la risposta è arrivata proprio dagli Europei conclusi ieri a Tbilisi, i primi del post-Rio con una finestra aperta sui ben più impegnativi Mondiali di Lipsia in programma dal 19 al 26 luglio. Alla classe 1993-94 che rappresenta la base della nuova Italia il confermatissimo presidente Scarso aveva affidato il compito di ripetere almeno il bottino non proibitivo dell’anno scorso a Torun quando collezionammo 6 medaglie (un oro, 4 argenti e un bronzo). Altroché: l’Italia ha mantenuto fino alla fine il comando del medagliere davanti alla Russia e ha chiuso la rassegna con 4 ori (peccato la sconfitta in finale ieri della sciabola maschile) e soprattutto con 11 medaglie totali che eguagliano il nostro record assoluto agli Europei del ‘99 . Una prova di forza, per certi versi inattesa, che ha avuto il suo culmine simbolico con l’immediato riscatto del fioretto femminile. La grande delusa di Rio, Arianna Errigo, con i suoi 29 anni ha guidato la quasi coetanea Martina Batini (28) e le più giovani Alice Volpi (25) e Camilla Mancini (23) a riprendersi subito l’oro continentale che era sfumato l’anno scorso a Torun dopo 7 vittorie consecutive e ci era stato negato a Rio dall’assurda rotazione delle armi (per fortuna annullata dal nuovo regolamento del Cio a partire da Tokyo 2020). Un Dream Team riveduto e corretto (che ha dovuto fare a meno anche dell’argento olimpico uscente Elisa Di Francisca in maternità) nel quale si riconosce ancora il Dna dell’arma più rappresentativa di tutto il patrimonio azzurro.
Che cosa significa tutto questo? Che la scherma non è un modello soltanto per come vince, ma anche per come ha vissuto il cambio generazionale e per come ha reagito al primo piccolo passo falso. Ma soprattutto la scherma andrebbe studiata in laboratorio dagli altri sport per imparare a gestire quel fenomeno fondamentale che si chiama «ricambio» e che è il tallone di Achille di tante discipline come l’atletica e il tennis. Il segreto? Probabilmente la distribuzione uniforme delle Accademie di alto livello (nella scherma vanno di pari passo dalla Sicilia al Friuli passando dalla Campania al Lazio, dalle Marche alla Toscana, dal Veneto alla Lombardia) e la capacità dei campioni di trasmettere il proprio know how agli allievi in un rapporto di sana rivalità. Per non parlare di una scuola tecnica che ormai esportiamo in tutto il mondo. Con una ciliegina finale: nella spada maschile e nella sciabola femminile gli «allievi» hanno superato i «maestri».