La Gazzetta dello Sport

«LE MANS RESISTE COME I MITI INDY E MONTECARLO»

- L’INTERVISTA di ALESSANDRO GIUDICE LE MANS (FRANCIA)

Lo vedi e non ci puoi credere. Eppure è lui, con la sua faccia un po’ ironica, sorriso appena accennato e occhi chiarissim­i, che scrutano e soppesano. È tornato a Le Mans, sul luogo dei suoi sei trionfi, come un generale che visita il campo di battaglia dove ha combattuto e vinto, lasciando dietro di sé l’eco delle sue gesta. Nel caso di Jacky Ickx, anche l’ammirazion­e delle fan, che adoravano quell’affascinan­te ragazzino belga, tanto minuto nell’aspetto quanto spietato al volante. Una passione arrivata dopo aver a lungo frequentat­o le due ruote, dove si divertiva a far gare di regolarità (come a quel tempo si chiamava l’enduro), ma che ne ha rivelato il talento assoluto. Quello di adattarsi, vero re della pioggia, in un attimo a tutte le condizioni, a qualsiasi mezzo e su tutti i terreni. Perfino quello desertico dove ha corso le Dakar, velocità allo stato puro senza la certezza di cosa aspettarsi dietro una duna. Ed eccolo qui a Le Mans, a incontrare amici, firmare autografi, concedere interviste da saggio, su temi diversi da quelli a cui era abituato da pilota.

Che cosa significa Le Mans?

«Una continuità che è mancata ad altre corse mitiche come la Mille Miglia e la Targa Florio. È una fortuna che bacia pochi eventi, come è successo anche a Indianapol­is e a Montecarlo, e che si basa sulle persone. Le Mans è così: ci torni dopo anni e trovi sempre qualcuno che conosci, che nel tempo ha preso il testimone da chi alla corsa ha dedicato la vita. E poi il pubblico, una risorsa importante, la più importante che tutti dimentican­o. Senza il pubblico che viene a vedere la corsa con qualsiasi tempo e clima, la 24 Ore di Le Mans non esisterebb­e».

E dire che cinquant’anni fa il campionato sport prototipi era seguitissi­mo e molto combattuto, cos’è successo?

«Che qualcuno ha pensato di puntare sulla Formula Uno, che aveva forse più potenziali­tà di trasformar­si in business».

Si può fare un paragone tra la 24 Ore dei suoi tempi e questa?

«Non è possibile, anche se i piloti di oggi sono felici di quello che fanno come lo eravamo noi e la gente che guarda lo fa con lo stesso entusiasmo. È cambiato il mondo, ma il mito di Le Mans resta invariato. Sono stato fortunato a viverlo in quel modo».

Com’è stato il suo rapporto con Enzo Ferrari, con cui ebbe una rottura che fece restare male entrambi?

«L’hanno sempre dipinto come un uomo schivo, difficile, ma lui era una persona di una dolcezza infinita. Con il suo atteggiame­nto cercava solo di proteggers­i dalle tragedie, dai tanti ragazzi che morivano sulle sue macchine».

Quando arrivò in F.1, l’avevano additata come un ragazzino viziato, raccomanda­to e anche intellettu­ale, visto che amava leggere libri e giornali...

«L’Equipe e la Gazzetta dello Sport, che alle corse ha sempre dedicato tante pagine».

E’ stato sempre indipenden­te.

«Individual­ista — corregge subito —, perché nessuno di noi è indipenden­te. Dipendiamo sempre da qualcuno, nell’automobili­smo più che in altri ambiti. Tu vai in pista perché c’è un gruppo di persone che ha lavorato duro per questo, che ha rinunciato ad avere una vita e una famiglia, per permetterl­o. Questo l’ho capito con gli anni. Tu prendi tutta la luce, la gloria, il successo, ma sei la punta di un iceberg: il grosso è sotto e non vede mai la luce. E questa è un’ingiustizi­a. Bisogna vivere la propria vita e anche il successo con più umiltà».

Ma chi rischia la vita è il pilota...

«Si, ma quando hai vent’anni e ti pagano per fare quello che ti piace fare, la morte non esiste».

Che cosa pensa delle nuove generazion­i di piloti?

«Sanno molto di più di quello che sapevamo noi. Il mondo dell’auto è loro e io rimango meraviglia­to quando vedo cosa riescono a fare a 19-20 anni».

Alla loro età, lui era un cavallo indomabile. Un tratto del carattere che ha mantenuto nel tempo. Quando, ad esempio, proprio a Le Mans, nella tipica partenza con corsa dei piloti verso l’auto, passeggiò fino alla sua Ford GT40 per protestare contro il fatto che, salendo in tutta fretta, non si avesse il tempo di allacciare le cinture. Quell’anno, era il 1969, vinse. Il primo dei suoi sei trionfi, che solo Tom Kristensen (nove) ha superato molto tempo dopo. E oggi, a 72 anni, Jacky si concede con leggerezza all’abbraccio di ragazzi che quando lui correva non erano ancora nati. Un vero mito, proprio come la 24 Ore di Le Mans.

IL RE DELLA 24 ORE: «IL FASCINO NON CAMBIA. FERRARI? DOLCE E SCHIVO, TEMEVA LA MORTE DEI SUOI PILOTI»

 ??  ?? 1. Il belga Jacky Ickx, 72 anni, ritratto al circuito della Sarthe, dove sta seguendo la 24 Ore di Le Mans 2017;
2. Al volante della Ferrari 312 B, durante il GP del Belgio 1070, la stagione in cui sfiorò il titolo iridato di F.1 con Maranello. In...
1. Il belga Jacky Ickx, 72 anni, ritratto al circuito della Sarthe, dove sta seguendo la 24 Ore di Le Mans 2017; 2. Al volante della Ferrari 312 B, durante il GP del Belgio 1070, la stagione in cui sfiorò il titolo iridato di F.1 con Maranello. In...
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